Ghygo, gioie e dolori di un giovane producer

Ho incontrato Luigi Panella (aka Ghygo), producer beneventano classe 1997, con l’intenzione di guardare al mondo della musica indipendente dalla prospettiva, spesso sottovalutata, di chi sta dietro il mixer. Avere vent’anni e sognarsi produttori sembra una scelta inconsueta, ma la realtà è un’altra: in Italia sono davvero tantissimi i giovani che desiderano imboccare questa strada, mossi da una genuina passione per la musica intesa a 360 gradi (produzione, mixing e mastering inclusi).

“Prima del 2018 ho sempre suonato, dal rock all’elettronica”, mi ha raccontato Luigi, “ma mi divertivo perlopiù a produrre beat lofi hip-hop su cui fare freestyle con gli amici. Devo ringraziare loro in particolare per avermi spinto a prendere la musica seriamente”.

Ghygo

La spinta degli amici è servita a far sbocciare Ghygo, il suo peculiare progetto, che unisce musicalità differenti ma in grado di compenetrarsi alla perfezione: ritmi trip-hop/downtempo si mescolano a musica decisamente ambient, generando atmosfere dal sapore indie R&B. Due EP, sette singoli e svariate collaborazioni lo hanno traghettato fino alle finali della call for producers organizzata da Open Sound Festival, lo scorso agosto. Con lui, altri otto giovani produttori provenienti da tutta Italia.

Ciao Luigi! Raccontaci del tuo progetto: come e quando è nato Ghygo?

Il progetto Ghygo nasce nell’estate del 2018. Avevo concluso la laurea triennale in filosofia a marzo dello stesso anno, per cui nell’attesa di cominciare la magistrale ho avuto un po’ di tempo libero per dedicarmi seriamente alla musica. Quei mesi ho vissuto infatti a Roma e ho avuto modo di seguire dei corsi su elementi di produzione, mixing e mastering che mi hanno dato una buona infarinatura iniziale. È uno step che consiglio a chiunque voglia dedicarsi alla produzione musicale, poiché permette di avere padronanza completa su tutto il processo creativo, dalla composizione al master finale. Nel mio caso questo è stato un passaggio fondamentale, dal momento che in precedenza avevo studiato chitarra per molti anni con un insegnante privato. Avere questo background mi ha permesso di approcciarmi ancora meglio allo studio della parte tecnico-produttiva.

Chi ti ha influenzato di più, musicalmente parlando? A quali artisti del passato e del presente ti ispiri?

Ci sono moltissimi artisti che hanno influito sulla mia formazione musicale. Da piccolo sono cresciuto a pane, soul, prog e Caparezza, del quale – assieme a Frank Zappa – ho sempre ammirato l’atteggiamento parresiasta, anticonformista e provocatorio. Mi piaceva condividere musica con i miei amici e durante il liceo siamo cresciuti ascoltando (non esagero) ogni genere esistente, dall’avant-garde alla dubstep. Per fare ordine, tendo sempre a distinguere tra influenze e ispirazioni. Le prime sono il campo rispetto a cui sviluppo il mio sound. In questo caso, le persone che guardo di più fanno parte principalmente della scena musicale internazionale: Frank Ocean, James Blake, Joji, Sampha, Daniel Caesar.

Gli artisti che più mi ispirano, invece, non necessariamente rispecchiano il sound che cerco, ma qualche loro idea può, a volte, stimolarmi particolarmente. Adoro lo stile di Tyler, the Creator, del quale ho seguito lo sviluppo negli ultimi dieci anni, da ragazzino immaturo a Man of the Year su GQ. Amo l’atteggiamento di artisti come FKA twigs e Bon Iver che hanno sempre pensato costantemente ad innovarsi disco dopo disco, spesso correndo rischi enormi. Infine, mi intriga moltissimo il sound design e la ricerca sperimentale che stanno portando avanti artiste come Arca e SOPHIE.

Riguardo alla tua esperienza all’Open Sound Festival: pensi che concorsi di questo tipo siano utili per emergere e formarsi?

L’esperienza all’Open Sound Festival è stata una delle più importanti della mia vita. Sono riusciti a creare un ambiente realmente inclusivo e aperto dove potersi confrontare, scambiare idee, creare networking e parlare di musica sotto ogni aspetto. Tutti i masterclass sono stati davvero illuminanti e hanno toccato punti centrali: dalla composizione musicale alle dinamiche dell’industria italiana e di ciò che vi gira intorno. Credo che concorsi del genere siano un’occasione preziosa per chi voglia fare musica ed emergere, qui in Italia.

Noi de Le Rane abbiamo riflettuto spesso sulla grande quantità di musica indipendente che viene pubblicata ogni settimana. Una tendenza innegabile, nel panorama musicale emergente. Da un lato è un bene, perché rende facile all’artista farsi trovare (ma fra miriadi di altri suoi simili, con il rischio di passare inosservato). Dall’altro lato, però, condanna l’ascoltatore allo spaesamento di fronte al grande numero di nuova musica da scoprire (spesso mediata dai consigli, sicuramente non disinteressati, di Spotify e YouTube). Qual è la tua opinione a riguardo, dalla prospettiva privilegiata di giovane produttore? Meglio pubblicare sempre e ad ogni costo, con il rischio di restare inascoltati, oppure investire a lungo termine, in modalità diverse (bandi, call, talent o gavetta), prima di esordire?

Questa domanda è molto interessante e tocca una questione non indifferente. Personalmente ritengo che la grande quantità di musica indipendente prodotta oggi sia in sé un vantaggio per tutti, sia per i produttori che per i consumatori. Spinge i primi a non omologarsi e a ricercare un sound originale e i secondi ad essere curiosi e aperti. Ciò naturalmente in un mercato libero ideale: purtroppo la realtà è estremamente stressante, soprattutto per gli artisti indipendenti come me. Il problema qui è dunque di tipo sistemico-strutturale, e nessuna condotta individuale isolata può risolverlo. La frustrazione ovviamente c’è, ma finché non si attueranno riforme serie personalmente continuerò a tirare avanti, consapevole del fatto che non esiste nessuna scappatoia come un overnight success.

Conosco più che bene la sensazione sgradevole di sentirsi ignorati e inascoltati ma è vitale non avere fretta, sviluppare aspettative realistiche, intessere relazioni e fare collaborazioni – del resto anche Tyler, the Creator quando ha pubblicato Bastard aveva solo 46 ascoltatori. Io faccio musica anzitutto per me stesso e per chi mi segue, per cui consiglierei a chiunque di pubblicare le proprie cose indipendentemente da contest, talent eccetera. Ciò che interessa alle persone è ascoltare buona musica, per cui l’importante è cercare di creare una propria nicchia da cui partire.

Sfruttiamo ancora una volta il tuo punto di vista per parlare del futuro. Come vedi l’industria musicale post-covid? Che cosa ha insegnato questa pandemia a chi si occupa di musica e di spettacolo?

Il Covid ha inferto all’industria musicale mondiale un colpo non indifferente. L’impatto iniziale è stato catastrofico, tutte le grandi major hanno bloccato molte release e solo negli ultimi mesi la situazione sembra stia ritornando alla normalità. Naturalmente non è tanto la release del disco in sé quanto tutta la struttura che vi gira intorno ad essere in profonda crisi: la promozione dell’album, il tour e tutti i settori di lavoratori essenziali che fanno girare l’economia dell’arte – molti dei dischi che sono usciti in pieno lockdown non hanno nemmeno avuto una copia fisica se non recentemente.

Il Covid ha dunque esacerbato le contraddizioni e i nervi scoperti del sistema capitalistico che regola l’industria musicale, per questo le manifestazioni di solidarietà che si sono sollevate in tutta Italia sono state secondo me importantissime. Si deve prendere coscienza del fatto che qui si sta parlando di migliaia di persone che lavorano e che stanno reclamando i propri diritti. Naturalmente per risolvere sul serio questi problemi interni servirebbero delle riforme così radicali che credo nessun governo avrà mai la lungimiranza di intraprendere.

Molti dei tuoi colleghi iniziano come produttori per poi virare verso la carriera solista: tu, in questo senso, ti sei mantenuto ibrido dall’inizio, producendo per altri ma anche per te stesso. Strategia, indecisione o voglia di esplorare il mestiere a 360 gradi?

Nel mio caso niente di così lungimirante purtroppo: la ragione è stata un semplice limite di fatto. Ho sempre suonato in piccoli gruppi, quando ero al liceo, ma frequentando l’università (a Trento, dove mi sono trasferito) ho avuto sempre meno occasioni. Da buon organismo vivente mi sono semplicemente adattato. Ho studiato più a fondo i software e adesso lavorare con altre persone è ancora più divertente, dal momento che avviene ogni volta una fusione di orizzonti e di prospettive che per me è linfa vitale.

Ti sei laureato in filosofia con il massimo dei voti. Da filosofa che ha discusso una tesi su De André, ti chiedo: quanto dei tuoi studi c’è nella tua musica e quanta della tua musica ha influenzato i tuoi studi?

Domanda fantastica! Personalmente trovo un po’ cringe utilizzare la filosofia nella musica, a meno che non abbia un senso preciso. Ma per quanto io voglia tenere separate le due cose è naturale che qualche volta esse tendano a mischiarsi in maniera naturale. Ad esempio Change.S cita esplicitamente il Simposio di Platone, poiché nel contesto vi rientrava perfettamente. In ogni caso, l’obiettivo primario della mia musica è sempre quello di trasmettere un’emozione, per cui se a ciò si lega in più qualche contenuto filosofico in senso stretto tanto meglio!

Puoi svelarci alcuni dei prossimi progetti in cantiere?

Ho tantissime cose che bollono in pentola e sono felice di condividerne alcune con voi. Anzitutto è in fase di stampa in Vinyl-CD il mio primo EP del 2018, Scattered. Al suo interno, ho collezionato tutte le produzioni della prima era di Ghygo. Inoltre, è in fase di conclusione il video ufficiale di REALITY (feat. KAO), prodotto da Riccardo Quattrochiocche della Threeab Film. Il pezzo è stato pubblicato quasi un anno fa e per me rappresenta ancora il massimo di ciò che Ghygo può essere. L’11 ottobre è uscito il provino con cui ho vinto la prima fase dell’Open Sound. Si chiama Betrayal e racconta la storia di due amanti che cercano di riconciliarsi in qualche modo.

Sto pianificando di pubblicare un ultimo singolo a novembre, Summer.Time (feat. overcatness), prima dell’album che ormai è pronto. Si chiamerà LP (gioco di parole fra il mio nome vero e Long Playing) e conto di rifinirlo e pubblicarlo a marzo 2021. Mancano giusto gli ultimi dettagli e alcune parti vocali. Non posso fare ancora annunci ufficiali, ma vi anticipo che ci saranno tante collaborazioni con quelli che sono prima di tutto alcuni dei miei più cari amici. In particolare Toni de I Botanici, con il quale negli ultimi tempi ho prodotto tantissimi pezzi, fra cui Corso Garibaldi.

Regalaci cinque tracce dalla tua playlist del momento.

Proprio da quest’anno ho cominciato a creare delle playlist pubbliche! L’ultima che ho pubblicato dal mio profilo Spotify si chiama Music for Blue Insomniacs, dura quasi 9 ore e racchiude musica molto moody di diversi genere (elettronica, R&B, hip-hop). Volevo mostrare quanto i generi siano solamente dei nomi per mezzo dei quali categorizziamo le cose, rendendocele più familiari. Le emozioni e la bellezza però, in sé, non hanno genere alcuno, nella musica come nella vita. Tutti gli artisti che ho inserito là dentro si influenzano nella realtà concreta reciprocamente e spesso anche in modo esplicito. Cinque tracce dalla prossima playlist che pubblicherò sono Nightrider (feat. Freddie Gibbs) di Tom Misch, Lockdown di Anderson .Paak, Get To Know It di Moonchild, 10% (feat. Kali Uchis) di KAYTRANADA e EARFQUAKE di Tyler, the Creator.

Consigliaci tre artisti che, secondo te, vanno assolutamente tenuti d’occhio.

Di artisti internazionali emergenti che vanno tenuti d’occhio direi assolutamente Winston Surfshit e MonoNeon, sono sicuro che un giorno scoppieranno di brutto. Ne approfitto per dare uno shoutout a I Botanici, Arturo Camerlengo, KAO e Yanomamyy. Per il resto, prego ogni santo giorno che Frank Ocean faccia uscire presto il nuovo album.

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