Dola, “Cultura Mixtape”: il mio “secondo album” senza l’ansia da prestazione

Dola è fra gli artisti più imprevedibili della scena, un concentrato di cultura street e Do It Yourself, unito a decine di altre reference: dall’hip-hop al punk, dallo skate al lo-fi. Mina vagante di casa Undamento, nell’ultimo anno si è imposto tra i nomi più obliqui e interessanti grazie a sonorità in bilico fra pop e cantautorato, il tutto sporcato da un’evidente passione per le contraddizioni della quotidianità, fra notti al supermercato sotto casa e birre in lattina. Ciò è ribadito anche nell’inusuale nuovo progetto dell’artista, CULTURA MIXATPE, in grado di rendere giustizia al concetto di mixtape, ripescando a piene mani dalla tradizione rap.

La tracklist ha infatti preso forma nel corso del tempo sotto i nostri occhi, aggiungendo un po’ alla volta brani fino all’insieme finale, arricchito da sette nuove composizioni, per quello che non è un album canonico, ma nemmeno una playlist. La coerenza di fondo c’è, ma le singole parti sono giustapposte in un flusso, ricordando un po’ il feeling dato dalle registrazioni su cassetta delle trasmissioni radiofoniche di venti o trent’anni fa. La stessa cover è stata costruita pezzo per pezzo, realizzando un patchwork visivo di influenze e momenti, straniante e affascinante allo stesso tempo.

Ad impreziosire il mixtape numerose collaborazioni, tra cui Bruno Belissimo in Timido, Coez e Frenetik&Orang3 in Non si esce vivi, See Maw e Dado Freed in Venerdì e Ugo Borghetti in Pepita, per quello che è uno sfaccettato e multicolore affresco della scena urban italiana, tra Roma e Milano passando per Bologna, in un viaggio tra suoni e produzioni, estremamente originali e dal gusto internazionale.

Dola – Cultura Mixtape [Ascolta Qui]

Abbiamo così fatto quattro chiacchiere con Dola per addentrarci nei meandri del mixtape, ecco cosa ci ha raccontato.

Raccontaci un po’ le varie fasi in cui ha preso forma il mixtape.

Diciamo che abbiamo iniziato a pensare al mixtape già quando stavamo lavorando a Mentalità: tipo Maglia K è un brano che era stato scritto per quel disco ma in quel momento non la sentivo ancora matura ed è rimasta lì. Poi, man mano, lavorando anche con l’idea di libertà totale per quanto riguardava collaborazioni, sia sotto forma di featuring che di produzione, ci siamo resi conto che avevamo in mano dei pezzi anche molto diversi tra loro, ma con filo conduttore la mia voce e la mia attitudine e quindi abbiamo fatto il mixtape. Cosa fondamentale è che lo abbiamo composto pezzo dopo pezzo, uno alla volta, così come anche la copertina che alla fine con l’ultimo drop si è completata. Sono molto fiero di questo modo di fare che è solo nostro, Tommaso Biagetti ha sviluppato le idee di questo svarione.

Ci parleresti più nel dettaglio riguardo alcune collaborazioni? Partiamo da Bruno Belissimo.

Bruno l’ho conosciuto tramite Frah Quintale, un agosto che era in studio a Bologna da Vulcano. Ci siamo subito connessi, in quel periodo eravamo super presi dallo stesso viaggio e abbiamo tirato fuori molte idee, alcune sono quelle che potete sentire nel mixtape altre sono ancora nel cassetto e sulle quali sto lavorando per le cose future.

Il brano con Coez e Frenetik&Orang3 è un bell’incontro di mondi sonori: hai qualche aneddoto a riguardo?

Eravamo così felici quando lo abbiamo finito, eravamo in auto in giro per Roma io, Tommy e Silvano, era la mia prima uscita dopo il primo lockdown e non mi sembrava vero stare in giro con i vetri aperti in una città praticamente deserta.

Ugo Borghetti sembra un nome perfetto per il tuo immaginario: qual è il tuo rapporto con lui?

Birre, canne, fratellanza, musica, stessa tristezza. Bebbo per me è il poeta più crudo e definitivo che ci sia oggi, non parlo di musicisti ma proprio di poesia.

Ci sono anche nomi che si stanno facendo strada con decisione come See Maw e Dedo Freed, ci racconteresti qualcosa in più sul pezzo con loro?

Sono innamorato di See Maw, per me è uno dei più talentuosi musicisti che ci sia oggi in giro, tanto che abbiamo anche altre robe in ballo. Venerdì è nata in studio da Undamento, io ero a Milano in quel periodo e iniziammo a fare giri di chitarre. Avevo voglia di tirare giù qualcosa di più ballabile, inizialmente si chiamava HIT 2, immaginate come possa essere HIT1.

I tuoi temi sono un costante miscuglio di immagini di provincia e quotidianità, tra disagio, paranoia e voglia di evasione. Da quali suggestioni nascono?

I miei temi rispecchiano quello che sono io. La provincia non è una moda è un modo di sentirsi, se si sente nei miei pezzi è perché è inevitabilmente stampata nel mio DNA.

E con i vari produttori come hai lavorato nella scelta delle sonorità?

Sono abbastanza fissato con i suoni, quindi diciamo che a volte sono anche un bel rompi palle. Capita ad esempio che dei pezzi che dovrebbero essere finiti già da un bel po’, li modifico e li definisco solo in sede di mix. Però con tutti i produttori ho un rapporto da migliori amici, sento che sono molto più vicino al loro mondo che a quello dei “cantanti”. Fosse per me vivrei in studio con loro.

Il progetto grafico e visivo è lo-fi e surreale, curato e immersivo, sicuramente di grande impatto. Come ti sei approcciato ad esso?

Il progetto grafico e visivo è nato dall’idea di formare il disco un pezzo la volta, piano piano, così abbiamo deciso di associare un’immagine diversa ad ogni canzone e fare una copertina “viva” come il disco. Tommaso Biagetti è stato fondamentale nello sviluppo di tutto. E non solo, fondamentale in generale. Ogni immagine è stata ritagliata a mano, ogni scritta fatta a mano, è un vero e proprio collage, diciamo che siamo stati i primi a farlo e per come la vedo io dovremmo incorniciarla.

Cosa ti piace di più del concetto di mixtape? Ti dà più libertà rispetto ad un album canonico?

Hai la libertà di fare ciò che vuoi, come credo dovrebbe essere anche nei dischi ufficiali, infatti lo considero il mio secondo album senza l’ansia da prestazione del secondo disco (ride, ndr). Però di base il processo, nel mio caso, può essere anche più lungo. Dipende come imposti il lavoro e quanto vuoi che suoni bene e che sia una cosa che ti rispecchi.

Con che ascolti sei cresciuto? Cosa ti ha folgorato musicalmente parlando? Consigliaci qualcosa.

Sono cresciuto con il punk, ma anche con tanta musica folk americana e inglese, non so cosa abbia influenzato di più la mia vita, sono molto lunatico e vado per periodi di fisse. Non mi sento tanto di consigliare qualcosa da ascoltare, ma posso dire che io cercavo tanto e cerco ancora tanto, skippavo skippavo e skippo ancora un botto di roba diversa e mi soffermo solo quando sento che qualcosa sia perfetto per il mio umore del momento, senza razzismi di genere o pregiudizi di alcun tipo. E fidatevi siamo nell’epoca del razzismo musicale.

Ci sono ancora dei nomi della scena con cui ti piacerebbe lavorare?

Ce ne sono diversi, ma no spoiler.

Progetti per il futuro?

Vorrei fare un disco che mi faccia sentire fiero di stare al mondo. Vorrei che fosse un manifesto del sottosuolo, un macigno eterno. Sto già lavorando su dei pezzi e sono molto contento dei primi risultati, vediamo… Chiaramente vorrei anche fare i live, come mi auguro che anche tutti gli altri possano ricominciare a fare, che periodo di merda. Però penso a chi non ce l’ha fatta e a chi ha perso delle persone che amava e mi sento tanto triste ma anche fortunato nonostante tutto.

Di Filippo Duò

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