Postino: se faccio l’amore, lo faccio con i calzini

Postino non è un nome sconosciuto a voi lettori di Le Rane, e in generale dopo la pubblicazione del suo disco d’esordio Latte di soia, ha avuto una popolarità che forse nemmeno lui stesso si aspettava. Quando vi abbiamo parlato di lui, sapevamo ancora poco sulla sua identità, questo perché in un primo momento ha preferito rimanere nell’anonimato, nel corso di questa intervista scoprirete il perché.

Comunque il suo nome corrisponde a quello di Samuele Torrigiani, ha studiato medicina e le sue canzoni sono una radiografia di diversi momenti della condizione umana. L’ha definito un disco terapeutico, il suo. Questo perché Latte di Soia racconta quello che normalmente non riesce ad uscire dalle mura di camera sua, quello che alla fine tutti noi molte volte ci teniamo dentro.

Ci ha svelato qualcosa in più sulle sue canzoni, anche se poi le canzoni non vanno nemmeno spiegate più di tanto, il bello della musica è che tutti possono trovarci ciò di cui hanno più bisogno in quel momento.

C’è qualche connessione tra i tuoi studi di medicina e le canzoni che scrivi?

Sicuramente. Ho passato gli ultimi sei anni della mia vita a studiare più o meno ogni giorno. È fisiologico trasferire le conoscenze medico-scientifiche acquisite anche nei testi delle canzoni seppur in modo metaforico e allegorico. Il cuore blu ne è un esempio.

All’inizio del tuo percorso artistico sei rimasto nell’ombra, senza svelare particolari sulla tua identità. Ora che ti abbiamo dato un volto, è cambiato qualcosa?

Metterci la faccia è la manifestazione dell’assumersi le proprie responsabilità. Forse mi sarebbe piaciuto restare nell’anonimato perché ti permette di avere una libertà più ampia e provare a essere quello che non sei nella tua quotidianità. Dietro una maschera hai il potere di reinventarti totalmente. Ma poi pensandoci bene ho capito che non avevo nessuna intenzione di provare ad essere qualcos’altro da quello che sono, con tutti i rischi e, appunto, le responsabilità del caso.

“Latte di soia” è uno spaccato sui rapporti umani. Ci sono canzoni che sono rimasti fuori da questo disco? Se sì, in base a cosa hai scelto i brani da inserire?

Molte canzoni sono rimaste fuori da questo disco, ma usciranno prossimamente, forse. Tra i vari pezzi scritti in questi anni, ho scelto di inserire proprio questi 8 brani in Latte di soia perché credo che raccontino diversi aspetti della condizione umana, dai cambiamenti di stato e di animo, alla voglia di evasione, al conformismo quotidiano. L’intero disco rappresenta un’analisi della nostra quotidianità che spesso non ci fermiamo ad osservare perché ci sfugge tra le mani.

In “Ambra era nuda” dici che “vince sempre chi si spoglia per primo”, tu che tipo sei a letto?

Io sono il tipo che non si spoglia proprio, e se faccio l’amore, poi, lo faccio con i calzini.

Mi ha colpito molto il brano “Miope” in cui racconti la storia di un paziente psichiatrico che ha un suo modo particolare di vedere il mondo e rifiuta le logiche imposte. In fondo credo sia il modo migliore per vivere, quello di levarsi le lenti convenzionali e affidarsi all’istinto. Qual è la tua chiave di lettura del mondo di oggi?

La realtà viene filtrata continuamente da ogni individuo per il semplice motivo che viviamo in relazione che lo si voglia o meno. Ecco perché a volte dovremmo tentare di spostare il nostro punto di vista. Provare a puntar il nostro filtro in una direzione per noi inconsueta per scorgere realtà dietro altre realtà. Su questo sono state scritte canzoni enormi, penso a Un matto di De André o The fool on the hill dei Beatles. L’unico punto su cui tutti dovremmo soffermarci è pensare alla differenza che c’è tra ciò che ci viene imposto dalla condizione umana e ciò che ci lasciamo imporre in modo passivo senza pensarci minimamente. In questo caso allora i veri folli diventiamo noi.

Ti sei mai sentito come la protagonista di “Anna ha vent’anni”?

Beh si, è successo a tutti di dover fare i conti con una realtà fatta di attese, aspettative, tentativi di evasione. Ma ogni sforzo di rispondere a queste attese passivamente assunte risulta fallimentare dal momento che non riflette il proprio io e le proprie aspirazioni. “Il mondo è così com’è e prima o poi cambierà anche te” e non può non essere così a tal punto che tutto si riduce a un deludente tentativo di fuga da noi stessi che siamo solo un prodotto di ciò che ci circonda.

Che rapporto hai con il pubblico durante i live?

Per quanto riguarda il live devo sicuramente migliorare sotto molti punti di vista. Io cerco di cantare come quando quelle parole rimbalzavano tra le mura di camera mia- Tento di arrivare dentro a chi mi sta ascoltando e fino ad ora il riscontro di chi era ai concerti è sempre stato molto positivo. Comunque la parte bella è dopo il live ovvero quando vado in mezzo a loro ad abbracciarli e a bere qualcosa insieme.

Nelle tue canzoni c’è una velata malinconia che poi lascia spazio a episodi di vita quotidiana in cui torna il sereno. Secondo te esiste un modo pacifico di convivere con questo stato d’animo?

Il mio modo pacifico di vivere questo stato d’animo è continuare a “ricercare” restando fermamente convinto dell’impossibilità della comprensione del fine ultimo dell’esistenza. È una continua ricerca all’interno di noi stessi, mettendo in dubbio ogni giorno quello che eravamo il giorno precedente, cambiando continuamente idea, fluire in divenire. Il luogo migliore per fare questo è davanti allo specchio, ma anche la notte prima di dormire, quando si è soli.

Un saluto per i lettori di Le Rane…

Un limone a tutti i lettori de Le Rane, ai cuori blu e a tutti i ragazzi di questa webzine che hanno creduto in questo progetto fin dall’inizio, grazie.

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