“Un tipo timido” di Nervi: perché deve essere così importante definirsi?

Introdurre Nervi non è facile. In primis non ha bisogno di esser presentato attraverso quel fare giornalistico che, diciamocela tutta, a volte non rende giustizia agli artisti. In secondo luogo, la questione è che Nervi è una sola persona dentro una moltitudine di cose. E siccome le moltitudini per natura sono tante, muoversi al loro interno per pescare due o tre aggettivi in grado di descriverlo, non è così produttivo. Ho scelto così di giocare con la retorica per raffigurarlo attraverso l’uso di tre parole – ma lo farò solo per lui. Tenetevi pronti, sto per infrangere le regole della scrittura professionale con un’iperbole più che azzardata: Nervi è uno, nessuno e centomila.

La scrittura professionale non ama questa tipologia di retorica e spesso neanche io. Anzi quando mi capita di leggere persone che esagerano nella descrizione di un personaggio, regalandogli sentenze lusinghiere, spesso skippo. Perché allora dovrei chiedervi di restare qui e leggere fino alla fine?

Facile, perché in un paio di anni questo ragazzo, che sta anticipando i tempi dei molti, scalerà un bel po’ di classifiche.
In occasione dell’uscita del suo nuovo EP “Un tipo Timido” ho deciso di intervistarlo per portare alla vostra attenzione il potenziale di questa nuova musica.

Nervi – Un tipo timido [Ascolta Qui]
Ciao Elia, come stai?

Sto bene. Se devo rispondere diplomaticamente dico che sto molto bene, se ti devo rispondere sinceramente ti dico che sto bene ma sono un po’ stanco: voglio portare l’EP live e suonare.

Soprattutto dopo il debutto dell’anno scorso al concerto del Primo Maggio.

Esatto. Sono tanti anni che suono, quest’anno ho fatto solo 4 concerti. Normalmente non facevo concerti perché magari non avevo un progetto ben chiaro, adesso è una frustrazione enorme.

Nella tua dichiarazione d’intenti di “Un tipo timido” parli di mancanza di autodefinizione. In realtà ascoltandolo, mi è sembrato di conoscerti. Proprio perché hai gettato le armi dell’autodefinizione, hai permesso di farti conoscere.

Molto bella questa cosa che mi dici. Era proprio quello che volevo fare: disseminare confusione e al contempo creare un po’ di ordine.

Quando parli di incapacità di autodefinizione, perché si parla di incapacità? Pensi sia la società che induca a pensare il non sapersi definire come un’incapacità?

In realtà è una cosa che io ho vissuto anche privatamente, sono stato male in periodi passati proprio perché non riuscivo a trovare la mia identità. Non sono mai riuscito a mantenere qualcosa di me abbastanza a lungo, ad esempio se vado ad una festa posso rovinarla o perché sto zitto all’angolo o perché spacco qualcosa. Posso essere entrambe le cose e questa cosa mi ha sempre fatto soffrire. Non avvertivo mai la mia identità. Ora penso che la mia identità è proprio questa cosa: non riuscire a capirla. Vorrei dire a chi si ritrova in queste cose di cui parlo: “guarda non roviniamoci per questa cosa, andiamo avanti“. Diciamo che ci sto facendo la pace e non mi sento più in colpa come prima.

Il tuo EP parla di emozioni introspettive, l’amore quindi passa in secondo piano?

Dipende. Parlo tanto dell’amore, ma parlo di ciò che ha creato. Quindi sì, è un amore introspettivo. Uno specchio dell’amore più che l’amore in sé.

Nervi
L’EP parla molto di ansia. Nel brano “Ho bisogno di aria”, è sembrato come se un attacco di panico stesse cantando. Poi improvvisamente si sfocia in una discoteca e ci si ritrova in una festa.

Mi ci ritrovo molto in questa descrizione. Tutto l’EP è un traslare dall’ansia ad una festa. Il controdramma è un concetto che mi ha aiutato. Mi è capitato di avere attacchi di panico dopo la quarantena, non ero più abituato al casino, alla gente. Poi in realtà paradossalmente quello che mi aveva portato ansia è stato anche ciò che mi ha fatto uscire da quell’attacco di panico. Medicina e veleno insieme sono faccia della stessa medaglia. “Un tipo timido” è un po’ una sospensione del giudizio degli opposti. Ho bisogno di aria tratta tanto l’ansia, cerca anche un po’ in un modo ironico di far prendere vita alla casa, la mia camera è stata la mia migliore amica della quarantena

In Sapessi che cos’ho dici “l’ansia non la curo, mi fa stare bene” e in Rimandami se vuoi: “la malattia mi manca già”. Stai dicendo che l’ansia è stata ed è produttiva per te?

Ho iniziato a soffrire di ansia a 17 anni più o meno, la vedevo come una cosa che dovevo assolutamente eliminare. Ci sono stati invece momenti, crescendo, in cui paradossalmente mi è mancata. A volte l’ansia mi fa sentire vivo, ho cercato di trovare il lato positivo perché ho smesso di colpevolizzarmi, di non sentirmi più malato.

Come hai capito che l’ansia potesse essere anche un motore? Cos’è successo per farti smettere di sentirti in colpa?

Dovremmo avere qualche ora per rispondere a questo. Negli anni i fallimenti grandi o piccoli mi hanno aiutato a capire di giudicare meno tutto ciò che avevo attorno, è anche questa la non-identità di cui ti parlavo. Ho vissuto tante cose che da piccolo, ho conosciuto tante persone diverse da loro e in contraddizione. Ho smesso di giudicare le cose distanti da me. Per me già fare una musica quasi pop in italiano è una cosa che sette anni fa era impensabile, non mi sento in colpa più perché canto in italiano.

Questo EP normalizza l’ansia.

Ti ringrazio. Appena ho iniziato a scrivere in italiano, non sapevo come dire determinate cose, pian piano ho lavorato per togliere i filtri e dire le cose in maniera diretta. A volte mi è stata mossa la critica di essere troppo semplice, ma per me è una soddisfazione enorme riuscire a dire le cose in maniera semplice, specialmente dopo aver fatto un sacco di tentativi in cui dicevo cose semplici con parole difficili. Io non voglio dimostrare di saper scrivere. A me ha dato tanto soddisfazione dire cose e scoprire che delle persone si ritrovavano in quello che dicevo. Dopo “Sapessi che cos’ho“, le persone mi scrivevano e mi emozionava sempre perché ero riuscito a creare qualcosa che parla fossilizzando le sue parole. Lasciandole lì.

Quanto è autobiografico “Un tipo timido?” Parli solo di te o ti riferisci a qualcuno in particolare?

“Un tipo timido” è sia un EP che un brano strano. Parla di me, ma in realtà ho scritto una serie di cose che mi ero sentito dire nell’ultimo mese, volevo fare una canzone biglietto da visita: è così difficile fare un biglietto da visita da solo. Così ho preso tutte le cose che mi sono state dette anche se sono in contraddizione apparente. L’ep è quasi tutto in prima persona, voglio far entrare le persone dentro di me e mostrare il peggio di me. Ad esempio il ritornello di “Rimandami se vuoi” non è bello: non è bello augurare ad una persona che sarò la sua nevrosi, è un sentimento brutto anche se è una canzone d’amore. Non è bello dire: “cancellami pure sarò la tua ossessione“, ma non volevo rendere l’ossessione più bella di quella che è.

Nervi
Del tuo EP mi ha colpito questa forte volontà di sorvolare e planare con leggerezza su te stesso.

Mi piacerebbe, ma ancora non ci riesco. C’è questa ossessione nel mondo di identificarsi. Possiamo provare a non definirci, potrebbe essere una soluzione. La risposta è un eccesso di definizione e questo fa male alla persone. Perché deve essere così essenziale definirsi? Mi piacerebbe essere a posto con il non definirmi.

C’è stato un momento particolare in cui tu ti sei effettivamente spaventato di fronte questa ricerca di autodefinizione?

No, però c’è stato un momento della mia vita in cui mi sono laureato (due anni fa, in filosofia), e subito dopo la triennale ho deciso di non proseguire oltre. Nello stesso periodo ho capito che con la mia band, i Finister, non volevo proseguire perché volevo provare a cantare in italiano da solo. Negli stessi giorni mi lasciai da una relazione impegnativa. Così mi sono sentito solo e con poche aspettative attorno a me. Alla fine avvertire zero pressione è stata abbastanza produttivo. In quel periodo ho scritto quasi tutti i brani di questo EP e ho capito quanto fosse bello lasciarsi andare senza che nessuno avesse delle aspettative attorno a me. Non ho avuto più fretta di dimostrare chi sono. È stato un periodo che poteva essere drammatico e invece è stato bello: mi sono esplorato nei bassi fondi e ho trovato tante cose positive.

Cos’hai in mente per il tuo futuro?

Non mi voglio ossessionare con questa cosa del genere e dell’identità. Voglio darmi la possibilità di esplorare. Sto cercando soltanto di non essere coerente, perché la coerenza è sopravvalutata. Voglio essere sincero. Che poi la sincerità può esserci anche quando racconti una cosa falsa: un conto è raccontare una cosa falsa in modo falso, un conto è raccontarla in modo sincero. Mi è capitato molte volte di scrivere cose che non reputavo sincere, mentre non mi capita mai di farlo se la reputo sincera ma incoerente. Vorrei essere molto sincero e poco coerente.

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