Un intro sognante: il suono di un cielo stellato. E finisce tutto. Zerella espande i nostri polmoni oltre ogni capacità vitale per poi lanciare la coltellata che destabilizza. Tutta bianca, il nuovo singolo che squarcia un silenzio narrativo durato più di un anno, getta sale su una ferita concettuale ed umana difficile da gestire. E oltremodo attuale.
L’emigrazione delle anime migliori della nostra generazione verso le grandi città in cerca di una vita e di un futuro migliore. Storie di valigie di cartone, pacchi di cibo, sogni e speranze. Spostamenti e transumanze. Nuove città, nuove case, affetti sottoposti a stress test inattesi e dalle variabili incalcolabili. Come conciliare un amore che vive di slanci, giorni con tele e tempere sempre da reinventare, con una vita aliena e routinaria? I lavori a ore, la vita in pacchetti digitali tutti uguali: vallo a spiegare agli amanti delle stelle, a chi passa le notti con il naso all’insù. La fiammella di chi crea famiglie embrionali tra beni consumistici e una stanchezza fisica e psicologica. Chissà se fare l’amore ha lo stesso gusto tra quattro mura anonime e una lavatrice tutta bianca come spiaggia e fuoco di falò.
Ciro Zerella, cuore irpino, conosce bene le paure e le contraddizioni della sua generazione. Ha negli occhi le distese verdi della sua terra (laurea in enologia): ne conosce odori, profumi, ricchezze e limiti. Il grido di dolore (e la precedente presa di coscienza) fa abbassare il volume dell’ascolto, come se potesse far meno male pensare a quanti amori, famiglie e amicizie sian state separate da centinaia di chilometri. Per un attimo ripenso a Niccolò Contessa e la sua Baby Soldato: “Mai avresti pensato di rimpiangere tua sorella con i suoi capelli blu”. Ma se l’ictus dei Cani erode la diga ventricolare fino a emorragie di sangue scuro, la scossa di Ciro Zerella porta alla nostalgia senza risposte. Prospettive diverse, domande simili dalle risposte unte e benedette dalla tragedia.
Lo abbiamo incontrato per sorseggiare un buon calice di vino e qualche domanda.
Ciro sei tornato con una canzone che affronta il tema dell’emigrazione verso una vita migliore. È stato un bisogno autobiografico? Un escamotage per provare meno dolore?
Ci hai preso benissimo, è stato sia un bisogno autobiografico che un modo per fuggire dal dolore, anche la modalità con cui è nata la canzone (al piano, di notte) è sicuramente figlia di queste due cose.
Quale è il tuo rapporto con gli addii, il distacco?
Non sono per nulla bravo con gli arrivederci, figurati come me la cavo male con gli addii! Anche il distacco dalla terra natia è una cosa che mi spaventa sempre ogni volta che penso che prima o poi dovrà avvenire.
Hai mai pensato (o sei già) andato via? Un motivo per restare ed uno per partire.
Trovo francamente molto romantico riuscire a restare, trovo più difficile restare che partire, specialmente quando sei geograficamente localizzato in un posto di provincia, ancor più in una città come la mia, che si porta dietro problemi che persistono dal terremoto dell’ottanta.
Se dovessi partire, in che città andresti a vivere? E perché?
Ho visitato tante città in Italia, probabilmente Roma è quella che più mi ha convinto. Roma è una città enorme che ha al suo interno tante piccole città, è una città problematica ma che sa anche accoglierti. E poi, se avessi una solida base mi piacerebbe trasferirmi per qualche mese ogni anno a Londra, è una città che mi ha rapito a 20 anni e dalla quale mi sento continuamente “richiamato”. Al momento, per il mio percorso di vita, però, sto bene nella mia Avellino.
È anche una canzone sulla necessaria energia che serve a nutrire un rapporto anche quando la stanchezza e la frustrazione sembra abbatterci. Siamo una società che predilige le cose facili e veloci. Le nozze di diamante oramai sono un eccezione. Cosa ne pensi?
Mi trovi d’accordo, la maggioranza delle persone vive un mondo “usa e getta” – sembra potersi affezionare solo alla propria squadra di calcio e alla categoria dei porno. Con Tutta Bianca ho provato a dire che c’è qualcosa che ogni tanto ci smuove, ci fa pensare. Quella cosa si chiama umanità e l’umanità non può prescindere dal donare amore. E se poi lo si riceve è giusto viverlo in tutte le sue sfaccettature, dalle piccole cose al sesso.
Lo stesso sembra valere per la musica. Sembra che tutto sia diventato come le gomme da masticare. Ma è davvero tutto da buttare?
No, non è tutto da buttare e ci sono tanti cambiamenti che trovo estremamente positivi. Un esempio? Il singolo che diventa più importante del disco è un passaggio storico importante, apparentemente può sembrare “più veloce” ma se dall’altro lato delle cuffiette trovi la persona giusta puoi guadagnarti un fan con una sola canzone. È una cosa rivoluzionaria.
Nulla si crea, nulla si distrugge. Quali sono le influenze musicali a cui senti di dover dire grazie?
Premetto che sono un accanito ascoltatore di musica, mi piace ascoltare cose nuove, stili nuovi e non ho preclusioni di genere. Devo tantissimo alla scuola cantautorale italiana, al rock alternative degli anni ottanta e novanta e, negli ultimi due anni, alla musica rap, specie a quegli artisti che usano il proprio flow in modo creativo e innovativo o chi attraverso i testi fa denuncia sociale. Il mio primo amore è stato Luca Carboni, al liceo andavo pazzo per la scena indipendente rock italiana (Afterhours, Marlene Kuntz…).
Il tuo precedente lavoro “Sotto casa tua” ha riscosso un buon successo. Dove ti porterá il futuro? Come sarà il prossimo Zerella?
Il futuro è irrequieto ma all’orizzonte ci sono già le pre-produzioni del secondo disco. Le sto portando avanti con i ragazzi della mia label Silko Records Caserta
Con chi vorresti fare un feat?
Il feat. che mi piacerebbe fare è con Nicolò Carnesi e con Vasco Brondi. Il feat. dei sogni, invece è con Thom Yorke (ride)
Consigliaci un disco e un libro.
Jacques Prevert – Poesie d’amore e libertà, Canzoni da Spiaggia Deturpata – Le Luci della Centrale Elettrica
Domanda bonus: un vino da scoprire (o riscoprire).
Taurì delle Cantine Caggiano per i Rossi, Grillo di Catalano per i Bianchi.