Flavio Giurato, storia di un cantautore “di nicchia”

«Nell’etichetta dell’acqua minerale c’è tutta la nostra vita»[1]. Questa frase riassume la genialità e l’estro artistico di Flavio Giurato, cantautore romano, classe 1949. Riscosse un buon successo a cavallo degli anni Ottanta con un terzetto di album divenuti nel tempo iconici, riconosciuti sia dal pubblico che dalla critica: Per futili motivi (Ricordi, 1978), Il tuffatore (CGD, 1982), Marco Polo (CGD, 1984).

Se il primo disco fu l’occasione di raccontare la storia di un ragazzo nel periodo del fascismo, della Seconda Guerra Mondiale e soprattutto della Resistenza, il secondo lavoro racconterà di una storia d’amore, originalissima, nata su un campo da tennis, sino all’album che, seppur intitolato al celebre esploratore veneziano, in realtà è la fotografia di noi tutti, viaggiatori spersi nel tempo, alla continua ricerca di una direzione.

Come scrive Giuliano Ciao nel bel libro “Flavio Giurato. Le gocce di sudore più duro” (CRAC, 2020): «Fare musica per Giurato significava ingaggiare una dura competizione all’interno della quale l’atleta, l’artista e l’uomo venivano coinvolti senza scarti. Nell’incedere di questa sfida, mentre l’atleta combatteva senza tregua, l’artista affinava il suo stile e l’uomo alimentava la gara trasferendo in essa tutto il suo carico esistenziale e le sue inquietudini. La partita fu vissuta da Giurato in modo così intenso e personale che nessuna forma di compromesso, tantomeno se discografico, fu accettata».

Flavio Giurato
Carmelo Bene diceva che la vita, di per sé, è un compromesso.

Seppur vero, si può cercare di ridurre al massimo i “contratti dell’esistenza” restando sé stessi. Giurato ci è riuscito mantenendosi in silenzio più di quindici anni – nei quali realizzerà dei documentari -. Poi tornò sulle scene con il disco Il manuale del cantautore (Vitaminic/Interbeat, 2002, 2007) affrontando anche fatti storici: la strage di Ustica, i fatti di Praga, l’attivismo di Silvia Baraldini, le lotte operaie e il Primo Maggio, la morte di Togliatti e di Pasolini.

Nel contesto squisitamente reazionario nel quale Giurato si è sempre mosso, bisogna inserire il suo penultimo disco. La scomparsa di Majorana (Entry, 2015) – quarant’anni dopo l’omonimo romanzo di Leonardo Sciascia – racconta magistralmente la storia sofferta ma affascinante del fisico siciliano. Dissolto negli arrangiamenti e nelle sonorità, si discosta da tutti i precedenti lavori, perché caratterizzati da sfumature misteriose, a tratti etniche e altre, in stile avanguardistico, con linguaggi variegati ma con il consueto timbro della sua voce e del suo modo unico e particolarissimo di cantare.

Calzanti sono le parole dell’intellettuale Fulvio Abbate: «Ma cos’è che rendeva la cifra di Giurato così straordinaria, al punto da suggerire, oltre a un’immediata sensazione di nostalgia, perfino un’aria di rivolta, un legame sentimentale inossidabile con il suo immaginario? Per cominciare, diciamo, la sua malinconia siderale. E poi, l’impressione che Giurato fosse lì a incarnare una specie di sentimentalismo civile, nel senso più rispettabile della parola»[2].

La forza incandescente delle parole di Giurato si può ben ascoltare nel suo ultimo disco Le promesse del mondo (Entry, 2017)

Il lavoro, le migrazioni, le cure dei medici, la forza dei volontari, sono i temi principali che attraversano la nostra contemporaneità, e non solo: silenti ma vivi, attendono risposte. C’è anche il racconto di un giovanissimo eroe della Resistenza, Ugo Forno, sempre sullo sfondo di una Roma, città eterna, contraddittoria, amata come amante.

Il pezzo di chiusura, cantato anche in spagnolo, lingua familiare amata da Giurato – suo padre è stato Console Generale in Uruguay – sembra essere un testamento spirituale che affonda nei ricordi. Vede al centro, metaforicamente, proprio l’acqua, elemento naturale per eccellenza, fonte primaria che in certe realtà – pare assurdo – continua a scarseggiare.

«È una cosa interessante, è una cosa scientifica l’amore per le piante che vengono dall’Africa. Mi alzo presto la mattina e mi vesto da sposa. Tu sei la mia bambina e ti riporto a casa e se è lunga e fa male curami con l’acqua minerale, agua mineral».

Flavio Giurato è un folle visionario. Un artigiano romano e musico terapeuta, inscritto nella “nicchia” della canzone italiana, in buona compagnia di autori come Bindi, Lolli, Bertoli, Testa. Assieme a loro, e a pochissimi altri, restituisce un importante e raffinato contributo di bellezza e poesia controcorrente. La storia già ne custodisce la memoria.

[1] Teledurruti, 10 giugno 2017.
[2] L’Unità, 24 dicembre 2003.

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