Eroi fragili: la lezione di Bianconi e Contessa

Oggi, 6 dicembre 2023, vorrei avere venti anni. Vorrei avere la metà dei miei anni: i capelli ancora biondi, la felpa melting pot eredità del liceo, l’mp3 giallo pieno di dance. Vorrei avere venti anni e non averci capito ancora nulla. Vorrei avere venti anni e non il doppio per non comprendere così a fondo, così dolorosamente, le parole di Francesco Bianconi e Niccolò Contessa.

Avevo quindici anni quando usciva Sussidiario illustrato della giovinezza, ne avevo venticinque quando ascoltavo per la prima volta I pariolini di 18 anni. Oggi, fulmine in un cielo grigio ed annoiato, un vinile nero con una piccola scritta I CANI BAUSTELLE: due tracce, lato A e lato B. Due tracce, due storie condivise a metà tra la band toscana e il one man band romano.

Ho avuto l’opportunità di ascoltarlo tornando a casa. Un puntino stanco nelle luci della Pineta Sacchetti, io un quarantenne poco più piccolo di Bianconi e coetaneo di Contessa.

E ho pensato che stesse parlando proprio a me: ho pensato stesse parlando a una marea di piccole schegge scolorite, incazzate, affamate di sogni e speranze, copie in bianco e nero dei rivoluzionari che fummo.

bianconi contessa
I CANI BAUSTELLE [Ascolta qui]

Oggi avrei voluto avere venti anni.

La prima traccia, Nabuconodosor – Essere vivo, è una fucilata in pieno volto. Poche penne raccontano lo scorrere del tempo, le mille foglie caduche che sembrano così importanti e le mille eritrosi delle nostre gote emozionate come quella di Bianconi. La storia di un uomo come quella di ogni uomo, il cerchio perfetto che ci lega ai nostri antenati, le storie dei nostri amori passati e finiti come sofferenze che han mutato e plasmato le estremità del nostro DNA in secula seculorum. Burro cacao e spasmi di freddo.

“E poi che gusto c’è a vivere, senza mai farsi del male?”

Contessa interviene a gamba tesa: la sua riflessione lascia interdetti come fossimo sul punto del precipizio. La voce è flebile, sussurra qualcosa a se stesso o a chissà chi. Preghiera laica, testamento scritto con il fiato su uno specchio dismorfofobico: l’inferno banale dei nostri giorni che si ripete ininterrottamente da sempre, mutevole e imperturbabile come la Storia.

I lavori precari, i mutui, i capelli, gli amori perduti, i raccomandati, i piccoli momenti di insperata serenità, i fiocchi di felicità, le lucine di Natale, le canzoni che parlano di noi, un caffè di domenica mattina.

Ed eccolo che sento forte quella sensazione che stia parlando a me. Francesco e Niccolò che parlano a Francesco che torna a casa: gli raccontano che domani tutto ricomincerà. Loro sbagliarenno, io sbaglierò.

Il prezzo dell’essere vivo.

E allora anche la tachicardia, gli attacchi di panico, i cantanti micidiali della nostra generazione avranno un senso.

La seconda traccia, Canzone d’autore – L’ultimo animale, inizia onirica, quasi colonna sonora cinematografica. L’imprevisto è dietro l’angolo: so che a breve una freccia scarlatta mi colpirà. Non basta la musica avvolgente, estiva e suadente a fregarmi: “splende il sole mentre ti butti dalla finestra”.

Se questi ultimi anni mi hanno insegnato qualcosa è che bisogna temere i sorrisi troppo spalancati: il tempo dilatato della prima traccia diviene di colpo claustrofobico, dispnoico. I fuochi sul ponte come metafora dell’intimità violata dal rumore di fondo, Angelino che chiede una specie d’amore come ognuno di noi chiede d’essere per un attimo nel cuore di qualcuno.

Se nella prima traccia possiamo chiedere subito gli occhi, qui ci vengono spalancati come in Arancia Meccanica. Odio e rabbia che avvolgiamo al nostro collo nella speranza di trovarne paradossale conforto, le canzoni banali che difendiamo perché un po’ ci riscaldano le mani.

Siamo schegge sole, siamo piccoli frammenti di vita che accendono fiammiferi scambiandoli per torce al neon. Siamo vivi, soli e infreddoliti.

Nel giardino di un Paradiso Terrestre siamo nudi con le cuffiette. Illusioni banali, scrittori e cantanti che cercano di raccontare le nostre vite.

Ed è qui che mi immagino Bianconi e Contessa. Noi siamo convinti loro abbiano le risposte: le leggiamo nelle loro strofe. Scriviamo stupide recensioni dei loro sentimenti. Delle loro domande cosa ne sarà?

Le due tracce sono domanda implicita e risposta immaginata: sono vite sognate e mai vissute, amori letti e mal interpretati. Contessa si denuda del mantello che noi gli abbiamo cucito: lui è un essere umano, nato nel dolore. Soffrirà, sbaglierà, amerà: un sassolino nella tempesta.

Essere umani, gridarlo forte accettando i nostri limiti. Essere eroi: accettare di poter morire in un ospedale. Eroi senza averlo chiesto: tutti simili senza averlo mai accettato.

Sospesi tra il bene e il male.

Oggi, 6 dicembre 2023, vorrei avere venti anni.

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