Il Tre, “Ali”: i sogni, la provincia e il fascino delle imperfezioni

Dopo aver sfondato sulle principali piattaforme di streaming è arrivato il momento per “Il Tre” (nome d’arte di Guido Serna) di esordire con un disco che sia in grado di dare una definizione sistematica alla sua essenza. In “Ali” trovano spazio feat importanti con gli idoli di sempre e il coraggio di rappare su uno dei tarli più temuti e ripudiati nella musica (italiana e non): la normalità.

Non ho mai creduto al destino, al fato, alla provvidenza.

Ho sempre provato un certo fastidio ad immaginare che fosse qualcun altro a decidere per me. Che fosse tutto già scritto, nonostante i miei sforzi continui per provare, con le mie scelte, faticate, sudate, combattute, a conquistarmi il mio famoso “posto nel mondo”.

Ad un certo punto, però, mi sono dovuta arrendere. Non so se chiamarla evidenza, casualità, coincidenza o persecuzione. So solo che nelle cose importanti, il numero “3” se ne stava lì, a indicare una data, la camera di un albergo, il civico di una casa, il numero della stanza in cui ho abitato per anni, una ricorrenza, un incontro che ha determinato una svolta decisiva nella mia vita, perfino il giorno dell’esame di maturità che ancora tormenta i miei incubi più recenti.

E così, quando mi sono imbattuta ne Il Tre, ho sentito una sorta di richiamo che mi ha portata ad uscire dai canoni della musica che ascolto solitamente. Sono andata vedere cosa si nascondeva in quelle (tanto per cambiare, tre) lettere che da sempre mi portano a qualcosa di inaspettato.

Perché la verità è che non credo nel destino ma ho un problema con le coincidenze: spero sempre che non lo siano.

Quello che ho trovato è un ragazzo di 23 anni che si è fatto strada in un mercato che sembra ormai saturo e privo di contenuti. Un ragazzo che ha raccontato la storia di un adolescente che aveva un sogno nel cassetto: vivere facendo musica.

Una storia lunga 15 tracce che comincia dai banchi di scuola. “Per chi  non ha un posto in questo mondo”, infatti, è il racconto del difficile rapporto tra un adolescente e la scuola. Attraverso una prospettiva che supera il mito del teen ribelle che odia studiare, Il Tre spiega quanto sia difficile sentirsi compresi e potersi esprimere all’interno di una istituzione che rimane anacronisticamente ancorata al rendimento e al profitto, piuttosto che fermarsi a guardare negli occhi gli studenti e chiedersi cosa provano davvero.

Il Tre – Ali [Ascolta Qui]
Ma Giudo sembra saperlo bene che prima di mettere le Ali e spiccare il volo bisogna affrontare le proprie “Tegole”

Bisogna partire dal passato che ti racconti da anni, che racconta del posto in cui sei cresciuto, delle strade che ti hanno visto mentre te ne andavi in giro portandoti dentro un labirinto senza luce e ti chiedevi se quel salto nel vuoto avresti avuto il coraggio di farlo o meno.

Io sono cresciuto in paese. /
Le persone sai parlano tanto. /
In seconda media ero già rimandato
stanco, pensavo ad altro. /
Sognavo una vita così /
una vita diversa dalle altre /
e pensavo “non ce la farò”, però intanto diventavo grande

Ed è proprio dal peso di quel bagaglio che ti fa sentire pronto ad affacciarti ad un mondo per il quale non ti sentivi abbastanza grande, forte che si materializza il bisogno di tracciare una linea tra sé e gli altri, una sorta di “Che ne sanno i duemila” che assume decisamente un tono più aspro e critico:

A 13 i ragazzini pensano alla droga /
a 13 anni io volevo essere Maradona /
sento ragazzi giovani parlare della coca /
io raccoglievo punti per la coca della Conad.

Si passa a “Pioggia” e ancora ritroviamo quel trampolino di lancio, il salto propedeutico che serve per spiccare il volo.

Quel senso di inadeguatezza che si ripercuote nelle relazioni, come se rimanessi intrappolato nelle paure che avevi in quei tredici anni che sembrano così lontani ma sono in grado di definirti ancora.

“Grattacieli” è lo sguardo che finalmente guarda in alto. Scritta durante la pandemia, con dei riferimenti al tempo trascorso con la sua famiglia, è un elogio umile alla consapevolezza che a volte la fragilità è solo una veste che tinge di pudore e che accarezza la propria unicità.

Il Tre

Farfalla” è il tatuaggio che ti porti sulla schiena. È lo sguardo di chi si limita a riassumere la tua vita dall’esterno. È l’amore che ti trova nella nudità di un’anima che grida, rabbiosa e desiderosa di lanciare i sogni dal cassetto al palco.

“Sogni e incubi” in feat con Clementino è la storia di un’esigenza che pur con riferimenti culturali diversi denota l’intimo bisogno di trovare nell’arte una via di fuga. Più che evasione esoterica questa diventa la strada maestra che ti risolleva dalla strada.

La mia casa era sempre lontana /
La cattiveria sulla dignità /
Stavo per fare anche un brutto finale /
Tutti questi sogni mandati a puttane /
Quelle notti in cui sei un animale /
Psicofarmaci mischiati con la rabbia /
Mi Ricordo strade scure abbandonate /
Questo cellulare ha voglia di squillare

Scorrono in coda “Cracovia pt 3”, “America” e “Oltre” nelle quali il tema dell’affermazione di sé e della propria identità la fa da padrone, rafforzata da una produzione che pur collocando il giovane cresciuto a Santa Maria delle Mole in un contesto altamente competitivo, riesce, grazie ad un timbro riconoscibile a dare credibilità alla narrazione.

Il disco finisce con “Te lo prometto” singolo certificato disco di platino che rappresenta, in un certo senso, la risoluzione del viaggio.

Il Tre si mette le ali per portare lontano il sogno di un bambino che ha saputo vedere dove gli altri non avevano neanche la sensibilità di guardare. Però, ciò che conta, quando si parte, è sapere sempre dove tornare. “Te lo prometto”, non è altro che questo: l’inizio e la fine.

Non importa se ho fatto successo /
Mi interessa più da dove vengo /
La mia casa è dove tira vento /
La mia vita è sopra quel cemento /
Quante ne abbiamo passate sopra quelle strade /
Le abitudini che avevo, sai che non sono cambiate /
Quelle frasi addosso come se fossero tatuate /
Fanno ancora male anche se adesso sono più lontane.

Concludo, contro ogni mio solito, con un plauso assolutamente imparziale a “Il tuo nome” che mi è rimasta in testa da quando ho ascoltato il disco per la prima volta e mi tiene viva nel tepore di un tempo nel quale a chi non ha un posto in questo mondo non resta che mettersi le ali e sognare!

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