“Paesaggio dopo la battaglia”, Vasco Brondi: una voce che canta più voci

“Esistere”: far parte delle cose, esserci, sussistere. Se esistiamo, vuol dire che siamo visibili. Ci muoviamo nello spazio, ci immergiamo nella realtà, siamo capaci di sentire. Non è scontato, esistere: presuppone una scelta tra subire e agire, vivere il presente o lasciarsi sopraffare. Ognuno esiste a proprio modo e per ogni esistenza esiste un racconto. Questo è “Paesaggio dopo la battaglia”: la prova che ogni essere umano fa parte di qualcosa di più grande e che ogni percorso ha una storia da raccontare.

Vasco Brondi ritorna in scena, dopo l’esperienza con Le Luci della Centrale Elettrica, con un progetto solista che in realtà è figlio di una coralità ben visibile in ogni traccia del progetto. Corale non solo per le collaborazioni (Mauro Refosco, Paul Frazier, Enrico Gabrielli) ma proprio per quella battaglia che dà il nome al disco. Vasco Brondi canta infatti le battaglie e le esperienze che ognuno di noi potrebbe ritrovarsi a vivere – o si è già ritrovato ad affrontare. Questo disco è un respiro lento ma incalzante, una voce che canta per più voci.

Vasco Brondi – Paesaggio dopo la battaglia [Ascolta qui]

In 33 minuti “Paesaggio dopo la battaglia” si mostra nella sua estrema limpidezza: non è soltanto un disco ma un racconto di formazione, una colonna sonora che si plasma a più interpretazioni. In ogni traccia si sente forte la volontà di essere autentico e di non voler per forza stupire con effetti speciali. Vasco Brondi sa ben usare le parole, le sa trasformare in un preciso strumento comunicativo, ma in questo disco fa un passo avanti. In “Paesaggio dopo la battaglia” le parole sono il bacino in cui confluiscono tutti i sentimenti, duri e grezzi, le vite fatte di dettagli.

Ogni traccia di questo album è capace di creare un microcosmo in cui seguire una storia precisa, fatta di suoni e di termini.

C’è la fragilità dell’essere umano, la capacità di ricomporsi, c’è la natura che ci avvolge. C’è anche il passato che passato ancora non è del tutto: in questo disco infatti chiari sono anche i rimandi alla pandemia che tuttora ci troviamo a vivere – “Ci abbracciamo” diventa quasi profetica.

Da “Il sentiero degli dei”, invito a ridimensionarci in un mondo in cui siamo solo dei piccoli punti, a “Città aperte” la sensazione è quella di sfogliare un libro in cui c’è qualche pezzo di te. C’è poi “Chitarra nera”, un continuo scorrere di parole in libertà, senza necessaria ricomposizione logica. Ancora “Adriatico”, una dedica d’amore al suo mare e a ciò che rappresenta. “Paesaggio dopo la battaglia” invece, la traccia che dà il titolo al disco, fotografa l’Italia piena di contraddizioni che in un modo o nell’altro, poi, riesce a rialzarsi. Ma le cicatrici sono ben visibili.

Le tracce di questo album sono immersione e allontanamento, vicinanza e poi fuga, un continuo movimento. Un disco, questo, dal forte simbolismo. Un simbolismo che parte già dalla copertina, inedito di Ghirri, che tiene in sé tensione ma anche respiro. Vasco Brondi, ancora una volta, non ha paura di immergersi nelle crepe dell’animo umano, nei dubbi, nelle sensazioni che di solito vogliamo far tacere. Crepe da cui esce luce, per un cambiamento che ancora è possibile. Perché se esistere è una sfida, raccontare l’esistenza è una catarsi.

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