È davvero necessaria tutta questa musica? Una domanda posta male

È davvero necessaria tutta questa musica? Questa è una delle domande più frequenti che sorge quando si leggono i numeri riguardanti le uscite discografiche della settimana. È molto facile constatare come una media di circa 100 pubblicazioni ogni sette giorni sia estremamente alta: sia dal punto di vista del “giornalista” che dovrà ascoltarla per scriverne, sia dal punto di vista dell’ascoltatore che inevitabilmente non ha il tempo di ascoltare ogni cosa. E questo lo sappiamo bene, lo abbiamo capito e ripetuto come un mantra. Allora come rispondere a questa domanda?

A tal proposito, si potrebbero srotolare papiri riguardo il concetto di necessità, legato strettamente a quello di “bisogno”. Il concetto di necessità è qualcosa di estremamente generico e, tolte le caratteristiche oggettive inerenti a ciò che di cui necessitiamo per sopravvivere, resta anche un qualcosa di estremamente soggettivo. Allora, dovremmo forse chiederci se questo concetto sia applicabile o meno a una disciplina artistica come la musica. Per darci una risposta dovremmo pensare prima di tutto a chi sono coloro che necessitano di musica e in che misura ne hanno bisogno. Beh, sfoceremmo anche qui nel campo della soggettività più pura: ogni tipo di ascoltatore ha un rapporto diverso con ciò che ascolta, la musica assume ruoli diversi a seconda di chi la recepisce. Probabilmente, nonostante i testi raccontino determinate storie, la musica è una delle arti più fluide per quanto riguarda le reazioni che provoca in ogni singolo ascoltatore.

Come possiamo allora risolvere questa sensazione di spreco, di eccesso, che ci scopriamo a provare nel sapere che non riusciremo mai a tenere il passo con tutta la musica che esce ogni mese?

Guardiamo la questione da un altro punto di vista. La musica è anche un prodotto, e in quanto tale ha un mercato (anche molto ricco se lo guardiamo da una certa prospettiva). In questo senso, spogliata della sua veste romantica, delle sue funzioni catartiche, espressive, liberatorie ecc, abbiamo tra le mani un vero e proprio prodotto. Ma che tipo di prodotto? Qual è il suo grado di necessità? Potremmo paragonarlo mai a un pezzo di pane? A un pacco di assorbenti o a delle scatolette di tonno? Se andassimo al supermercato a comprare un etto di musica e non avessero quella che piace a noi, opteremmo per quella in offerta? No. Come abbiamo detto, il discorso è diverso. Il tipo di “prodotto” è diverso. A meno che non siate preoccupati per i server di Spotify, penso che questa domanda non abbia molto senso o quanto meno che sia posta male: non è una questione di necessità.

Questa eccessiva produzione musicale, su cui si esprimono tutti, è in qualche modo giustificata in un mercato liberissimo in cui negli ultimi anni è diventato più facile “competere”. O almeno così sembrava. Finché il successo era lontano, sentito un po’ come irraggiungibile e custodito da poche realtà dette “major”, coi loro esperti e i loro soldi, c’era una chiara differenza tra ciò che era underground e ciò che era commerciale. Da quando le cose si sono un po’ fuse, grazie a tutti i mezzi di comunicazione e alla maggiore accessibilità economica delle produzioni di buona qualità, si è creato il marasma indefinito di cui stiamo parlando. Di qui la sensazione che tutti ce la potessero fare all’improvviso e che, se un pezzo fosse stato diffuso adeguatamente sui social o fosse stato promosso come si deve, il successo sarebbe stato dietro l’angolo. Ovviamente se tutti pensano di potercela fare nessuno poi davvero ce la fa, o insomma pochi ci riescono.

Si crea una sorta di ingorgo.

L’ascoltatore è bombardato da proposte e input, ma alla fine riesce ad approfondire davvero una percentuale bassissima di questa nuova musica, che spesso resta a inascoltata e poi dimenticata. Quindi, è davvero necessaria? Per l’ascoltatore, fruitore del prodotto, non molto. Ma come si può anche solo pensare di andare a dire a un musicista di non esprimersi con la propria arte, perché “non necessario”? Sarebbe assurdo. Ed è proprio per questo motivo che una domanda del genere rivela la sua intrinseca banalità. Come già ho scritto in qualche Weekly passato (qui), all’artista emergente si può solo consigliare di ponderare al meglio la frequenza delle sue pubblicazioni, oltre a rafforzare la sua identità pubblica esaltando quelle caratteristiche peculiari che potrebbero renderlo interessante, tenendo presente che il pubblico a cui si rivolge, divoratore seriale di contenuti, è spesso distratto. Ecco: se forse c’è un problema vero, probabilmente riguarda l’ascoltatore medio, ma questo è un altro discorso.

Di seguito, come ogni settimana, vi segnaliamo tutte uscite che abbiamo raccolto tra album, Ep e singoli a partire dallo scorso lunedì. Confidando nella vostra curiosità, spirito di ricerca e passione vi auguriamo un buon ascolto.

Album & Ep

Cara – 99 Ep (Universal Music Italia)

Fiorella Mannoia – Padroni Di Niente (Sony Music Italy)

Ennio Morricone – Morricone Segreto [Album Postumo] (Decca Records)

Tiziano Ferro – Accetto Miracoli: L’esperienza Degli Altri (Universal Music Italia)

Gemitaiz – Qvc9 – Quello Che Vi Consiglio Vol.9 (Universal Music Italia)

Mudimbi – Miguel (Artist First)

Coco – Floridiana (Universal Music Italia)

España Circo Este – Machu PiCchu (Garrincha Dischi)

Filippo Cattaneo Ponzoni – La tua alternativa Ep

Qualunque – Farmaci Ep (Costello’s Records)

Clio And Maurice – Fragile Ep

Moscardi – Rosso Moscardi Ep (iSugo Records)

Young Signorino – Calmo

Olly – Io Sono Ep

Etanolo – Memecrazia (Reload Music)

Antonella Vitale – Segni Invisibili (Filibusta Records)

D.In.Ge.Cc.O – Linear Burns

Alelock – Cellar Door

Dj Bront – Musica Illecita

Belvas – Roccen

Dealer – Interrail Ep

C+C=Maxigross – Sale 

Singoli

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