Maru: un viaggio introspettivo tra Bologna e Siracusa

“Zero glitter” è il nuovo lavoro discografico di Maru, cantautrice siciliana d’origine e bolognese d’adozione. Il filo conduttore delle tracce che compongono il disco è la volontà di accettarsi, basta togliersi un po’ di polverosi strati di inutili fronzoli , maschere e lustrini e mostrarsi semplicemente per quello che si è.

Maru ha iniziato a scrivere per necessità, per riuscire ad esprimere attraverso la musica ciò che non riusciva a fare in altro modo. Fin da piccola familiarizza con gli strumenti grazie anche al padre che suona e cresce consapevole di aver trovato la sua strada.

A poco a poco, ascoltando i brani, sono entrata nel mondo di Maru. La sensazione che si avverte è quella di leggere pagine strappate dalla sua storia personale, è un disco introspettivo che affronta con ironia e leggerezza tematiche importanti, che passano per le varie sfaccetature dell’amore ma non solo. L’amore per gli altri passa dall’amore per se stessi e questo Maru l’ha capito bene, l’ha tradotto in musica e l’ha regalato a chi deciderà di ascoltarla.

Per farvela conoscere meglio, ecco cosa le abbiamo chiesto…

Ho tante cose da chiederti Maru, ma andiamo con ordine. Aprirei quest’intervista parlando di due città: Bologna e Siracusa. A te la parola…

Ciao! Hai scelto le mie due città preferite, quelle che credo siano il mio punto di partenza e quello di arrivo (di quest’ultima cosa non sono sicurissima, cambio molto spesso idea). E’ stato un viaggio durato diversi anni e in cui ho fatto tappa anche in altre città: Cremona per la Scuola di Liuteria, Reggio Emilia per amore e Modena non si capisce bene. Sto molto bene a Bologna, ho tanti stimoli artistici e culturali e amo sentirmi così. Siracusa è il mio rifugio: quando qualcosa non va, quando devo prendere un attimo di respiro, è la mia vera casa e so che devo tornare.

“Zero Glitter” è il tuo secondo lavoro musicale, possiamo definirlo il disco dell’accettazione. Quale messaggio vuoi comunicare a chi ti ascolta?

Negli ultimi anni ho dovuto lavorare tanto su me stessa: capirsi non è mai semplice ma bisogna farlo anche per comprendere il punto di vista degli altri. In “Zero Glitter” (mi riferisco al pezzo che poi ha dato il nome al disco) parlo di solitudine, di fallimenti e del fatto che va bene anche così, va bene anche lasciarsi andare a questo tipo di sentimenti. Accettare la nostra indole e non tentare di “apparire” per ciò che non siamo. Detto ciò, cerco di parlare di quotidianità e succede che parlo di donne perchè me ne innamoro. Scriverne per me è naturale e vorrei portare chi mi ascolta a viverla con la stessa naturalezza.

Raccontami di “Giorgia”, l’altra parte di Maru..

Giorgia, per molti anni, è stata una ragazza che si è “nascosta dietro un dito”, dietro l’evidenza, rendendo le cose più complesse di com’erano in realtà.

Il brano parla in realtà di coming-out, di qualsiasi tipo esso sia.

In “Ordine” parli di una decisione presa in maniera definitiva. Come si fa pace con certe distanze fisiche e mentali? O semplicemente con certi addii..

Se l’avessi saputo probabilmente non avrei scritto questo pezzo 🙂 Ordine è il brano più recente del disco, quello per cui ho sofferto di più. Il fatto di prendere una decisione per se’ stessi e per gli altri non sempre è liberatorio, non sempre ti fa soffrire meno. So solo che, se non avessi fatto quella scelta, non avrei mai fatto ordine nella mia vita e questo disco non sarebbe mai uscito.

Come te vivo anche io a Bologna e quindi non ho potuto non prestare attenzione a “Via Oberdan”, una famosa via della città dotta, grassa e rossa. Riesci ancora a passare per quella strada o hai lasciato solo momenti malinconici?

Alcuni dolori vanno presi a piccole dosi per essere accettati. Passo molto spesso da Via Oberdan, chissà se alla fine riuscirò anche a viverci.

La musica è praticamente tutto per te fin dalla tua infanzia. Ci hai parlato di margini, di bordi. Quale è stato, per te, il limite più difficile da superare durante il tuo percorso artistico?

L’attesa di questo disco è stata una delle fatiche più grandi che abbia affrontato. Già mentre registravo il primo disco sentivo la mia volontà di crescere: ciò che scrivevo era molto più maturo e necessitava di cura e attenzione. Quindi ringrazio la me di qualche anno fa che ha deciso di conservare, elaborare, aspettare perchè ne è valsa assolutamente la pena. Pezzi come Giorgia, Lunedì è Martina, Via Oberdan e altri hanno circa 4 anni. Il mio “limite”, il bordo da superare, è stato sicuramente l’attesa.

Ti ricordi la prima volta che hai scritto una canzone?

Mi ricordo la prima volta che ho scritto una canzone con l’ukulele. Ho conosciuto questo strumento da amici a Milano che me l’hanno prestato. A Cremona non c’era nulla da fare e per noia ho cominciato a strimpellare e mandare canzoncine a caso come note di WhatsApp. La primissima era dedicata ad un’amica di mia sorella: in quella canzone le chiedevo di restituirmi dei pantaloncini di un pigiama. Era un piccolo valzer e ho passato molto tempo a riascoltarmi. Da lì in poi ho cominciato a scrivere una marea di pezzi (anche due o tre al giorno), tutti molto ironici e solo pochi veramente riflessivi. Fino a quel momento avevo sempre scritto in Inglese, ma l’Italiano era una gran bella responsabilità e lo era ancora di più presentarsi come “cantautrice”. Il suono di alcune parole in Italiano mi ha sempre affascinata, ho preso più ispirazione da alcuni libri che da canzoni (cosa divertente: quando ho cominciato a scrivere non conoscevo o ascoltavo nessun artista Indie e all’inizio ho fatto molta fatica ad identificare ciò che stavo facendo). Comunque alla fine nessuno mi ha restituito i miei pantaloncini.

Hai dichiarato che “Lunedì è Martina” è il tuo brano preferito. Cosa ci racconti di questa storia?

È una storia molto delicata e non sarebbe mio diritto raccontarla. Ho voluto farlo come forma di denuncia, in un modo delicato ma deciso. Lunedì è Martina parla di violenza, non tanto nella sua praticità, quanto nel nasconderla a se’ stessi e agli altri.

Che rapporto hai con il pubblico e come affronti la tensione pre-live? Hai iniziato spostandoti per l’Italia con il tuo ukulele, suonando in piccoli locali, magari circondata dai tuoi affetti, fino a dividere il palco con artisti del calibro di Motta. Come hai vissuto questo cambiamento?

Il pubblico va sempre conquistato se ci si vuole far ascoltare con attenzione. Ho imparato tanto in questi anni, dalla “gavetta” nelle birrerie e nei ristoranti. Intanto ho imparato che si mangia benissimo, poi anche che il pubblico va compreso e bisogna adattarsi alla situazione pur di farsi ascoltare. Ci sono posti in cui le persone arrivano proprio per ascoltare, ma altri in cui arrivano per bere o mangiare. In alcuni casi ci vuole un grande rispetto reciproco e per farsi notare (specialmente io che sono bassetta e suono una chitarrina) non va bene la timidezza. L’esperienza con Motta, Ex-Otago, Colapesce e di recente anche Maria Antonietta mi insegnano sempre tanto e mi permettono di credere veramente in quello che faccio. In questo modo spero che presto quel pubblico possa essere anche solo mio.

Un saluto per i lettori di Le Rane.

Ciao ranocchi! Ci si vede in giro!

 

Prossimi appuntamenti per ascoltare Maru live:

  • 5 gennaio – Capanno17, Prato
  • 24 gennaio – Cortile Cafè, Bologna
  • 26 gennaio – Spazio211, Torino
  • 30 gennaio – Sherwood Open Live, Padova
  • 31 gennaio – Ohibó, Milano
  • 2 febbraio – Le Mura, Roma

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