Una notte al MUSE con Rareş

Dinosauri, animali impagliati e lo scheletro di una balena ad incombere sulle teste del pubblico. Questo è lo scenario che mi ha accolto quando, mercoledì scorso, ho incontrato Rareş, durante il terzo appuntamento di un Poplar Festival che continua a sorprendermi.

Ad inaugurare la serata, nella sbalorditiva location del MUSE (Museo delle Scienze) di Trento, Ruben Camillas ha raccontato ad un pubblico teso fra lo sconcertato e l’attonito – ma il divertito andava per la maggiore – la sua Storia della musica del futuro: posso giusto anticiparvi che Piero Pelù diventerà il nuovo frontman dei Pooh, mentre la musica stessa sarà presto spalmabile direttamente sulla pelle degli ascoltatori. È un futuro che Pop X, headliner dell’evento, sta già vivendo: il progetto indecifrabile e tremendamente visionario di Davide Panizza è un concentrato di assurdità e genuinità che ti ritrovi ad odiare e ad amare, a fasi alterne.

Edoardo Meneghini / Poplar Festival

Possiamo allora riassumere questa terza serata al Poplar proprio con la parola “futuro”

Parlare di futuro in un museo sembra quasi un ossimoro. Ma quando il museo in questione è un museo delle scienze, il discorso si fa diverso: la scienza stessa è un futuro che si costruisce, scoperta dopo scoperta, esattamente come l’arte ed ogni processo creativo. Se allora i Camillas ti danno la sensazione di un passato che non tramonta, sempre attuale e mai fuori moda, e se Pop X sembra custodire in sé il folle talento di saper mostrare dove andranno davvero a finire in futuro le strade interrotte, Rareş è invece il presente che di quel passato raccoglie i frutti e che, in quel futuro, è pronto a spiccare il volo.

Il primo passo verso il decollo è un disco, uscito in primavera: il titolo è in latino, Curriculum Vitae, i testi sono in italiano e il rumeno resta sempre lì, come lingua che mette insieme ogni cosa, facendo trasparire una poeticità inedita.
Il secondo passo verso il decollo sono i concerti, pochi ma buoni nell’estate del Covid, trampolini di lancio e occasioni per sperimentare ancora. Perché chi si aspettava un live nello stile acustico dell’album ha dovuto ricredersi, in positivo. Rareş si è infatti divertito fin da subito a sguazzare dentro sound elettronici, che sono sembrati addirittura più congeniali a lui e al disco stesso. Il risultato? Paradossalmente ancora più autentico e pulito, con chitarra e sequenze in loop ad accompagnare sonorità dai ritmi quasi ancestrali.

Ecco a voi quello che Rareş mi ha raccontato nel backstage

Il tuo album d’esordio si chiama Curriculum Vitae, come quella cosa che si presenta ad un ipotetico datore di lavoro, pieni di sogni e di speranze. Da quale tipo di ascoltatore vorresti essere assunto?

Panico Concerti: l’album l’ho realizzato con mezzi loro. A parte gli scherzi, la forma del curriculum veste bene il disco, perché è stato pensato originariamente proprio come una raccolta delle mie esperienze. E, per esperienze, intendo le cose che ho prodotto in un paio d’anni, assemblate dentro una sorta di compilation. Non so chi dovrebbe ascoltarlo, ma per ora so chi lo fa già: gente dai venticinque anni in su, quindi un pubblico decisamente più maturo di quanto mi aspettassi.

Forse il fatto che il pubblico non sia giovanissimo è dovuto al tuo sound estremamente tradizionale e diverso rispetto ad altre cose in circolazione. Qualcosa che può trovare feedback positivi in chi conosce abbastanza bene il passato ma ama anche l’innovazione.

Sì, probabilmente è così. C’è un retroterra profondo dentro la mia musica, ma sono soprattutto gli ascoltatori a trovarcelo, non io. Di recente mi hanno accostato a Venerus, a Battisti, ma io non ho mai avuto la reale consapevolezza di somigliare in qualcosa a loro. Se dovessi dire da dove proviene il mio sound, le influenze musicali del mio passato avrebbero sicuramente un peso, ma la parola chiave è una sola: amicizia. I primi concerti li abbiamo iniziati in quattro, come molte altre band, e quella era la formazione che volevamo portare avanti. Il modo in cui ho composto la mia musica è una fotografia di questo e dietro ci sono gli amici di sempre: Giuseppe, Marcello e Tobia, oltre che Marco Giudici. Ci abbiamo tutti un po’ suonato e prodotto, e il risultato è un disco generico nel senso letterale del termine: neutro, franco, dove ogni nostra particolarità si è risolta in un sound che le racchiude tutte quante.

A proposito di termini e senso letterale, mi ha molto colpito il modo in cui usi immagini nitide ed efficaci, quasi fossero buttate giù di getto nei testi, comunicandole però con parole che sembrano ricercate (pluvia, perplime). In che misura c’è ricercatezza in te e quanto invece spontaneità?

A chi me lo chiede rispondo sempre che non è ricercatezza: è semplicemente rumeno. Pluvia e perplime sono esempi di termini rumeni che, tradotti in italiano senza cambiare la loro radice originaria, trovano un corrispettivo poetico. Questo è il mio modo di scrivere i testi: uso rumeno e italiano mantenendoli in sintonia fra loro. Il che è facile, essendo entrambe lingue romanze, vicine e compatibili.

Se il tuo album fosse un film e dovessi scegliere una città o un posto dove ambientarlo, quale sarebbe?

Bellissima domanda. Penso nei posti dove sono nate fisicamente le canzoni. Ce ne sono tre in particolare: via della Rinascita a Marghera, via Gozzi a Trieste e via San Petronio vecchio a Bologna. Ho in mente scene notturne, al massimo serali: strade semi-deserte e qualcuno che osserva, pensa e racconta la vita da un terrazzo, sigaretta fra le labbra e musica tra le dita sospese, davanti alla tastiera di un computer.

Rareş
Edoardo Meneghini / Poplar Festival

Il film della sottoscritta ha invece una scena madre girata a Trento, in corso del Lavoro e della Scienza. Lì c’è il MUSE, dove, tra passato e futuro, ho conosciuto il presente di Rareş. Un talento autentico e prezioso, che non finirò mai di invitarvi ad ascoltare.

In copertina: Lorenza Depeder / Poplar Festival

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