Quell’intervista a Young Signorino finita in requisitoria

Ricordo ancora la prima volta in cui sentii parlare di Young Signorino: ascoltando, come tutte le mattine, il Trio Medusa. Non nego che sintonizzandomi a programma già iniziato all’inizio feci fatica a capire se fosse uno sketch o se fosse davvero una nuova proposta musicale. Poi mi salì la curiosità e andai a vedere il video per ascoltare “Mmh ha ha ha“. Era il 2018, l’anno che portò lo Stato Sociale a Sanremo, l’anno in cui il nuovo underground, comunemente chiamato indie, si faceva strada con dischi importanti come: “2640”, “Cosmotronic“, “Rockstar”, “Fidatevi”, “L’amore e la violenza vol.2”, “Deluderti”, “Vivere o Morire“, “Una vita in Capslock” e “Davide” e il pioniere Calcutta annunciava l’uscita di “Evergreen“.

Eravamo solo a maggio eppure c’era già tanta carne sul fuoco e tanta stava per arrivare. Sembrava l’annata perfetta per il Rinascimento musicale, e in questo eterogeneo fermento un personaggio come quello di Young Signorino ai miei occhi poteva essere un elemento di rottura definitiva. Era provocatorio e, volente o nolente, metteva in luce un particolare degli ascoltatori italiani: se Signorino avesse cantato in inglese nessuno lo avrebbe contestato, ma siccome canta in italiano tutti pronti con i luoghi comuni “perché ormai i testi sono scadenti, prima erano poeti”. La musica italiana, per gli italiani è come i piccioni: non li distingui sono tutti uguali, sono sporchi e brutti. Le colombe invece sono la musica straniera: sono così belle e libere come gli artisti stranieri, mica come i piccioni! Nonostante le colombe siano piccioni dipinti di bianco.

Però dopo un po’ di indignazione sui social di Young Signorino non ne sentii più parlare, nonostante i singoli e l’Ep dei quali onestamente nemmeno io mi accorsi, fatta eccezione per il brano con il Vinicio Capossela.

Qualche settimana fa la proposta: “ti andrebbe di intervistare Young Signorino? Sta per uscire il suo primo disco”.

Ho risposto subito di nella speranza di imbattermi in qualcosa di estremo, oppure, meglio, in qualcosa agli antipodi del mio gusto, qualcosa da dover comprendere, contestualizzare, qualcosa che mi facesse immaginare alcuni degli scenari possibili del futuro della musica.

Calmo” più che il nome del disco sembrava un avvertimento alle mie aspettative. Effettivamente il disco non ha nessun tipo di particolare qualità, non è un disco suonato bene con dei testi opinabili né il contrario. Non è un disco provocatorio tantomeno di riflessione. Anzi non sembra nemmeno un disco, sembrano delle pre-produzioni buttate giù in una notte, e le tracce sembrano una sola, come se Signorino fosse andato avanti a ruota libera dicendo tra se e se: “vabbè continuo a dire cose poi al massimo le taglio“.

Mi restava ancora però l’intervista: mi sarei confrontata con una personaggio sfrontato o con la sua controfigura?

In tempo di Covid la maggior parte delle interviste si svolge comodamente seduti a casa davanti ad un pc ed in videochiamata.

Young Signorino in call con Sara

Mi arriva la call su Skype: è Young Signorino, e nonostante sia in casa porta gli occhiali, ma vabbè, si sarà fatto un bombone e non vorrà farmelo notare. Non penserò male solo perché sta indossando gli occhiali in casa per fare delle interviste. Gli dico subito che lo avrei registrato per scrivere fedelmente ciò che dirà e che una volta finite le domande, qualora volesse puntare i fari su qualcosa in particolare, mi dirà che preferisce rispondere alle domande senza aggiungere altro.

Fino a prima di questo disco sei stato un elemento di rottura, c’è stato chi ha visto del genio in quello che hai fatto e chi ti ha ferocemente attaccato. C’è stata una critica feroce che ti ha reso migliore?

In realtà no, sono migliorato io perché ho capito la strada che dovevo percorrere, sinceramente non guardavo molto i social o le critiche, in generale non ho letto molto di quello che hanno scritto su di me.

“Calmo” è una confessione, non c’è più nulla da interpretare: c’è qualcosa di te che questo disco ti ha portato a capire meglio?

Esatto! Mi ha fatti capire che sicuramente devo mantenere la calma, il concetto di questo disco, ero in un periodo in cui ad ogni ostacolo o davanti alle persone negative mi dicevo di mantenere la calma ed ho imparato a mantenerla, non totalmente magari ma va beh piano piano.

In uno dei brani che ha anticipato il tuo primo disco, “Fumo e fuggo” dici: “cerco di cambiare ma non so manco se devo”: hai mai cambiato radicalmente qualcosa di te e cosa ti ha spinto a farlo?

Eh si mi frullava in testa questa cosa qua, cioè non capivo se dovevo affrontare un cambiamento con me stesso o meno quando ancora ero in produzione con l’album, in quel periodo mi porgevo delle domande così.

Ed in questo periodo qual è stata la domanda che ti sei posto di più in quel periodo?

Non lo so. Mi frullavano tante cose in testa però magari non me le ricordo manco

Come andrebbe ascoltato il tuo disco secondo te?

Secondo me l’ideale sarebbe in macchina: viaggiando. È un disco cloud, una cosa chill quindi viaggiando perché sicuramente devi avere la mente libera.

In quale traccia hai avuto più difficoltà nel metterti a nudo?

Non ho avuto quel tipo di problema nell’esprimermi anche perché era la prima volta che mi esprimevo così profondamente con la musica. In generale non ho riscontrato difficoltà.

Con chi collaboreresti?

In Italia con nessuno, in Francia con i PNL

Wtf

L’intervista più breve della mia vita. Le interviste più belle ti illuminano, quelle brutte invece ti fanno riflettere, un po’ sul tuo approccio, sulle tue aspettative, e un po’ tanto sul nuovo esercito della musica. Credo che “esercito” sia la parola giusta per designare i musicisti dato che la musica ci protegge da strani umori, o li difende, ma come tutti gli eserciti troviamo tra le fila persone arruolate per i più disparati motivi: alcuni solo per la prestanza fisica, altri per vocazione altri ancora in assenza di alternative.

Eppure questi flop spingono noi giornalisti, critici o pseudo tali a scrivere più di quanto dovremmo quando non ci sarebbe nulla da dire (come in questo caso) pur con la consapevolezza che sono sempre meno quelli che leggeranno. E questo è un atteggiamento che abbiamo spesso anche per edulcorare l’amara realtà di prodotti mediocri che pompiamo come se fossero capolavori trovando significati e alibi spesso da lacchè o da lobbisti.

È giunto il momento che gli addetti ai lavori si assumano la responsabilità di ciò che accade alla musica: è sbagliato dire che il popolo ascolta la merda. È giusto dire che gli stiamo rifilando la merda!

Il mainstream viene creato in primis dalle radio: i tormentoni partono da lì per la loro crociata verso il nostro sistema nervoso. Questo significa che possiamo ancora educare le persone ad ascoltare tutto e meglio. E questo lo dico da speaker radiofonica: è un dovere di chi ascolta e vive la musica non piegarsi al mercato ma fare il mercato! Non piegarsi solo al volere delle major, ma vivere il mercato da mercato: “vendendo” una varietà di prodotti genuini.

Questo potrebbe essere un vaccino contro un morbo che colpisce la quasi totalità degli artisti italiani: la corsa alla hit! Questo credo che sia la cosa più castrante che esista per un’artista: tormentarsi per tirare fuori un tormentone. A parte ciò, cari i miei amici musicisti, ne ho visti tanti tirare fuori hit da millemila ascolti e poi pubblicare dischi ascoltati solo dai parenti più stretti. Ma diciamoci la verità, questo strizzare l’occhio a “quello che va adesso” sta rendendo il panorama musicale italiano una matrioska: artisti tutti uguali che finiscono per fagocitarsi l’uno con l’altro che, piuttosto che finire in playlist come “Scuola Indie”, dovrebbero finire in una playlist chiamata “Limbo” perché sono senza infamia e senza lode e se non leggessimo i nomi potremmo pensare essere sempre la stessa persona.

Ora la conclusione la lascio a voi con una riflessione che formulo in forma di domanda. Vi invito a commentare l’articolo con una vostra risposta se siete sopravvissuti fino a qui:

La parola musica deriva dal greco antico μουσική (musikè) cui è sottinteso il termine tèchné e significa “arte delle muse” considerata dai greci “arte delle arti” poiché capace di trasformare l’aria in qualcosa che muove gli animi e che rievoca immagini, sensazioni, ricordi.

Ad oggi però “la musica” è l’arte di quale arte?

3 Comments

  1. Daimon 21/11/2020 at 7:50 pm

    Buonasera,

    Mi chiamo Daimon, un piccolo cantautore indipendente, credo che questa sia l’intervista/ riflessione/analisi più interessante, sensata e crudamente sincera che abbia letto da tempo.
    Mi piace pensare che in un mondo perfetto avrebbe scosso i pensieri di molti, nel modo di fare musica e concepire l’arte, spronando a non conformarsi a non essere emuli di altri, ahimè non credo che andrà così.
    Felice di aver dedicato del tempo a questa amara riflessione, che condivido e che appoggio in pieno.
    Saluti

    Daimon


  2. Donno 22/11/2020 at 8:23 am

    Sono d’accordissimo con quello che hai detto! Il problema non è solo la gente ma il mercato che propone la musica… da musicista mi sento spesso dire che dovrei fare cose che piacciono alla gente, e dover snaturare la propria arte lo trovo veramente castrante come dite voi! Grazie di aver scritto un’articolo del genere!


  3. paolo frigo 22/11/2020 at 8:20 pm

    Ti ringrazio molto dalla domanda. L’aria oggi viene smossa dall’algoritmo e la musica è una branca del marketing.
    “End of the argue!”


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