Non fatevi un’idea del disco di Blanco, fatevi una cantata

Spesso smanetto ancora su SoundCloud addentrandomi nel sottobosco del nuovo underground: così scoprii Blanco un anno fa.

Ascoltai “Ruggine”, una canzone in cui si intrecciano frasi come “per pisciare dentro il mare senza costume con il suono dell’acqua” e “già che io ti immagino persa nel tuo fascino e sai che mi ci perderò” su di una chitarra sporca dell’eco adolescenziale.

Mi colpì subito, andai a cercarlo su Spotify e trovai “Notti in bianco”. Mi mitragliò subito la testa e la sentii in loop a manetta in macchina per un paio di giorni: era punk eppure così moderno e Blanco era così giovane e coerente, anche esteticamente, con quei suoni da farmi ben sperare nel suo futuro.

Poi ad un anno di distanza quella canzone impazzò sui profili social di minorenni urlanti “muovilo così ah” (se spera alludessero al cervello), o di boomer e milf che cantando “scopareeee” me parevano citare, più che Blanco, Maccio Capatonda.

Il successo di Blanco mi fece estremamente piacere ma questi video mi cringiavano altamente: ok farsi trascinare dal ritmo ma stavano davvero capendo cosa stavano cantando? Era normale che mi facessi queste domande? Forse il sound di Michelangelo mettendomi le ali mi ha fatto fare un bel volo pindarico.

Era tutto troppo scapigliato per diventare mainstream, mi sembrava tutto un po’ cobainico.

Si, ho appena paragonato Blanco ad uno dei miei più grandi miti: Kurt Cobain che temeva la strumentalizzazione della sua musica e soprattutto che i suoi testi non venissero capiti. Probabilmente a Blanco non frega un cazzo, altrimenti non avrebbe tirato fuori un disco così: un growl della sua anima.

Mi ero ripromessa di non scrivere più recensioni musicali perché per me la musica va ascoltata, non giudicata; e infatti la mia più che una recensione di “Blu Celeste”, il primo disco di Blanco, è quello che gli avrei detto se mi avesse fatto ascoltare il suo disco prima dell’uscita, sperando che mi conceda un’intervista.

Il disco si apre con una catabasi: “Mezz’ora di sole”, una vera e propria confessione manifesto dell’essenza di Blanco; un “c’era una volta” di questo disco che è una vera e propria teofania che trova il suo lieto fine in un urlo.

Seguono “Notti in bianco” che ormai non ha più bisogno di presentazioni e il suo spin-off  “Figli di puttana” e tutto sembra andare come tutti si aspettano: perché Blanco è giovane, sfacciato, veemente e forastico quindi può solo farci scatenare, perché ormai i giovani parlano solo di eskere. Alla fine della terza traccia infatti io ed il mio compagno di viaggio (e di ascolto) seguendo il flow eravamo ancora “scatenati, scatenati” sotto un sole arrogante: ci sembrava di percorrere la Route66.

Ad un tratto una nota un pianoforte sembra mettere tutto in time-lapse fino al tramonto: si spengono le luci così che il cielo si veda meglio, e le stelle come semibrevi nel cielo compongano una ninna nanna contro la malinconia: è “Blu Celeste” .

A 1.22 sento la voce di Blanco tremare: non trattengo le lacrime.

Ed è per questo che io più che parlare di questo disco vi invito a prendervi una pausa da questo articolo per ascoltarlo.

Lo so, probabilmente avrò creato, in chi non lo ha ancora ascoltato, grandissime aspettative e sicuramente alcuni tra quelli che l’hanno ascoltato non sono arrivati fino a qui ma sono già ad insultarmi sotto qualche post.

Blanco – Blu Celeste [Ascolta qui]

Non fatevi un’idea di questo disco, fatevi una cantata: Blanco è giovane e si è messo subito a nudo senza ammiccare alle logiche di un mercato musicale italiano che ti vuole o sottone o machista pure se fai il reggaeton.

Blanco invece è uno spericolato dei sentimenti: imparate tutti da lui!

Insomma tutti ci aspettavamo “Nevermind” ed è arrivato “In Utero” e questo suo primo disco è un “Blanco shaped box” in cui ha messo tutto sé stesso riuscendo a rendere corale il suo “teen spirit”.

Da adolescente ascoltavo la musica dei miei coetanei di due generazioni precedenti: ero una rockettara con il vizio del cantautorato; e il susseguirsi di tanti generi e meteore che si sono moltiplicati dal ’90 ad oggi mi hanno reso (musicalmente) Benjamin Button.

La musica è lo specchio della società, non si devono condannare le canzoni: per questo dovremmo smetterla di pretendere che gli artisti soddisfino le nostre aspettative e supportare e stimare chi come Blanco non ha filtri né in quello che fuma tantomeno in quello che ci canta.

Ad maiora semper, Blanco!

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