Storia delle nostre fragilità: “Moquette” di Laila Al Habash

Lo scorso 26 Febbraio è uscito Moquette, il primo EP di Laila Al Habash, per Undamento e prodotto da Stabber e Niccolò Contessa. Ho aspettato lo scoccare della mezzanotte per ascoltare tutto d’un fiato questo EP, il cui tratto distintivo, a mio avviso, è la sincerità. La cantautrice italo-palestinese, infatti, fa un racconto sincero e spontaneo delle sue fragilità. Sembra quasi una lettura pubblica, senza timore e vergogna, di quello che un tempo era stato il suo diario segreto e che ora non fatica a condividere con gli altri.

Ed è stato un bene che la giovane autrice abbia condiviso con noi le sue ansie, le sue paranoie, le sue insicurezze e la sua vulnerabilità perché le sue fragilità si rivelano essere anche le nostre. Ecco, quello che in particolar modo mi piace di questo EP è la facilità con cui ci si immedesima negli stati d’animo della cantautrice, il fatto che non ci faccia sentire soli nel nostro essere fragili e che, in un certo senso, aiuti a relativizzare le proprie paure.

Laila Al Habash – Moquette [Ascolta Qui]
Delle cinque tracce che compongono l’EP, la mia preferita è sicuramente Paranoia.

Qui la cantante racconta come l’ansia arrivi sempre nei momenti meno opportuni e in maniera del tutto inaspettata: “Lei non bussa quando entra, si siede e si addormenta dentro di me”. Si tratta di un racconto semplice e delicato ma che rende molto bene l’idea di cosa voglia dire convivere con le paranoie: “Sarebbe bello spiegarti l’astrologia, ne parlo troppo, capisco se vuoi andare via. Sai sono un po’ sola e mi scuso se sembro una pazza[…]”.

Flambè, il pezzo che apre l’album, è una sorta di racconto narcisistico e sadico di un amore che non è finito bene: “Non voglio sapere se mi pensi, tanto lo so già che lo farai. Non voglio sapere dove ceni, tanto lo so già che pagherai le tue pene e lo sai bene; è questo il costo di una nostra notte insieme” e “Vieni a prendermi, portami da te, sai che ho voglia di cucinare il tuo cuore al flambé; ho portato con me il Grand Marnier”.

In Doppio Taglio, invece, si ribaltano i ruoli

Laila racconta, con un velo di malinconia, la fine di una relazione a causa della distanza: “E lo so che fai bene, lo so che fa male se vai via lontano; lo so, è un’altra cosa lì a Milano” e ancora “E lo che non ci credi, ma non esco con nessuno; ad una cena con un altro, te lo giuro, preferisco il digiuno; e chissà se la guarderai come guardavi me, una di Brera o che ne so, basta che sai che amo te”.

Brodo, che insieme a Doppio Taglio ha anticipato l’uscita dell’EP, è in parte un brano sull’ansia generata dai ritmi frenetici e dalle performance impeccabili a cui ci costringe la società: “Siete tutti gentili con me solo se mi vedete vuota, sono in ritardo o forse non sono mai arrivata; più cerco d’essere eccezionale, più mi ritrovo qua ad annaspare, quello che mi chiedo è come fate a reggere”.

Infine, Soffice è il racconto della propria sensibilità e della propria emotività: “Se mi vedi piangere è che sono nata troppo soffice; ho troppe emozioni dentro al cuore, che vanno su e giù come un ascensore”.

Tutto l’album oscilla tra l’R&B e l’urban e rende evidenti le influenze musicali di Laila Al Habash, che vanno da Princess Nokia a Kali Uchis a Devendra Banhart. La menzione speciale, però, va a Raffaella Carrà, mito indiscusso di Laila.

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