A cena con Kublai: il disco di debutto, l’Oriente, ravioli e birra cinese

Kublai. Un nome che racchiude in sé la storia quasi dimenticata di Kublai Khan, erede di Gengis Khan, l’ultimo dei Gran Khan. Personaggio enigmatico ed estremo, fondatore dell’Impero Cinese della Dinastia Yuan, silenzioso e studioso, condannato a passare tutta la sua vita in solitudine in uno dei palazzi più belli che la storia può ricordare. Si parla di Kublai Khan anche nel Milione di Marco Polo, che diventò presto tra i favoriti a Corte, nonché probabilmente unico amico dell’imperatore. Kublai Khan sempre all’interno del suo palazzo e Marco Polo, emblema del viaggiatore coraggioso.

Kublai Khan morì suicida a causa della sua solitudine.

Kublai è anche il nome del progetto solista di Teo Manzo. Musicista dalle mille facce, reduce da un tour dove ha interpretato i classici di De Andrè, esibendosi in location quali l’Alcatraz, in un tempo lontano dove i live erano una cosa normale. Teo Manzo diventa Kublai, ora il suo volto ufficiale, durante questo caotico 2020 con il suo primo omonimo album Kublaiun disco complesso, diverso, esotico, che non trova facilmente riferimenti nel panorama italiano, con elementi di alternative rock, con elementi prog e qualche rimando, lievissimo e sospirato, al cantautorato italiano.

Kublai, vino bianco

L’occasione è stata quella di una cena orientale (virtuale, naturalmente) in cui l’artista ci ha raccontato qualcosa in più sul suo progetto…

Qual è effettivamente il tuo rapporto con l’Oriente e la storia di Kublai Khan?

Non è che abbia un rapporto privato o autobiografico con l’oriente. Ho una predilezione per gli esotismi, non come macchietta “New Age”, ma in un senso favolistico, di finzione rivolta alla metà infantile delle nostre emozioni. Per questo amo molto Calvino, da cui ho preso in prestito la suggestione di Kublai.

Del personaggio reale mi interessa poco, sono attratto dal mago, dall’artificio. Di contro, sono in eterna polemica con l’iper-realismo, con gli artisti che professano e ostentano l’autentico. Spesso si tratta di prestigiatori maldestri, non sanno nascondere il trucco, e quindi spostano l’attenzione del pubblico sulla propria “bontà”, cioè sulla coerenza tra ciò che dicono e ciò dicono di vivere, o di provare. Personalmente, anche da ascoltatore, ho più interesse per il demonio.

Ehi tu!

Il disco si presenta come una raccolta di conversazioni sotterranee e perdute tra il personaggio di Kublai Khan e Marco Polo, conversazioni che corrono traccia dopo traccia fino a perdersi in riferimenti diversi, più contemporanei, forse autobiografici, confusi, che non siamo più in grado di riconoscere.

Ma quali altri personaggi popolano il disco?

I personaggi del disco sono due, non è importante attribuirgli per forza delle generalità, ma per convenzione possiamo ipotizzare che siano Kublai e Marco Polo. Questo disco è un contrappunto tra due voci, una lunga conversazione. Il senso generale dell’album sta nel fatto che, a un certo punto, questo dialogo diventa un monologo, un’assenza.

Vino Bianco
E che fine ha fatto il “vecchio” Teo Manzo?

Siamo una somma continua. Questo nuovo progetto è un’idea del “vecchio Teo”, quindi è improbabile che non sia qui con noi in questo momento. Fantasmi a parte, ciò che ho fatto in passato non lo rinnego, ma Kublai è un qualcosa che ho scelto grazie a strumenti che a vent’anni non avevo. Sono felice di averlo scelto ora, perché è un progetto complesso, e credo di avere l’esperienza per sostenerlo. Prima non avrei potuto.

E se ti invitassimo al ristorante cinese, cosa ordineresti?

Ravioli, senz’altro. O comunque cose ripiene di cose. E poi mi piace la birra cinese, quella leggera che ne puoi bere all’infinito. Mi piacciono le cose non finite.

kublai
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Foto di Simone Pezzolati

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