Paul Giorgi e il bestiario emozionale di “Safari Pop”

Addentrarsi in una fitta coltre di nebbia che avvolge una grigia città del nord Italia, coprirsi con le mani per proteggersi dallo smog e dal freddo di dicembre, infine ritrovarsi dentro una folta, calda e coloratissima giungla tropicale. Versi animaleschi ed echi lontani aggrediscono il silenzio ancestrale dei primi venti secondi di Safari pop, album d’esordio di Paul Giorgi, cantautore marchigiano classe ‘95.

In un’atmosfera scandita dall’umidità della foresta pluviale, le sonorità sintetiche a cui da subito siamo introdotti assieme alla voce di Paul Giorgi offrono la visione di un campionario emozionale e sentimentale posto nella scenografica rappresentazione di un bestiario di cui è possibile percepire l’essenza e la sua naturale complicità con chi lo osserva.

Ti ho sentita ancora un po’ volare / Su tutta la foresta pluviale / Coi capelli di un colore / Che stringevi ad un laccio in cotone / Miniere di diamanti / Hai sepolto in fondo ai tuoi occhi / Che sono quelli di una tigre

Al di là di analisi impervie o fuori luogo, potremmo comunque dire che è il bisogno di purezza e di colore ad emergere in “Safari pop”.

Ed è qui che ricade la scelta di far raccontare le proprie canzoni agli animali, simboli di assoluta spontaneità e naturalezza. La stessa natura descritta nei suoi elementi più concreti (la terra, il mare, la nebbia, il vento) che Paul Giorgi sembra voglia preservare per ricongiungersi con la propria identità. È, insomma, un racconto di nature che si incrociano e si fondono, mentre la notte resta di sfondo e la musica procede sfumando.

E resta solamente un’idea / Nella tua valigia piena di guai / Ma ti ricordi? Eravamo a testa in giù / Pipistrelli e mille bolle blu

Certo, nel breve affresco qui offerto, è inevitabile non considerare in Paul Giorgi alcune, più o meno dirette, influenze che potrebbero aver contribuito alla gestazione del disco, dal nostrano Giorgio Poi al canadese Mac Demarco. L’autoironia o l’uso della metafora per enfatizzare e dare colore sono due elementi costanti nell’album, ma quel che forse mi ha colpito di più è la tendenza ad esprimere l’incontro tra due corpi, il contatto fisico, attraverso allusioni “liquide”, o fluide, come nella canzone Rondine:

Non ricordo cos’era / che ho sognato di cadere come cera / e scivolare, scivolare ancora / lungo la tua schiena

Paul Giorgi – Safari Pop [Ascolta Qui]

In ogni caso, per approfondire Safari pop e i suoi intenti, il miglior modo è quello di rivolgere allo stesso autore qualche domanda.

Ciao Paul, quando con la tua etichetta hai presentato l’album nella presentazione avete scritto: «Nel 2020, rimasto a casa il più del suo tempo per un virus diffuso su scala globale, scrive e registra un album “animalesco” che verrà seguito dall’ennesima etichetta indipendente e che vedrà la luce nel corso di quest’anno». Perciò ti chiedo: quanto, in effetti, è stata essenziale la situazione dell’anno scorso per la gestazione del disco?

Ciao! La quarantena dell’anno scorso ha permesso più che altro di recuperare e riorganizzare alcuni pezzi che avevo abbozzato e composto già in periodi precedenti. Mi ero accorto che in molti miei testi i protagonisti erano quasi sempre animali ed a quel punto ho deciso di comprenderli in un unico album. Solitamente amo stare fuori, uscire con gli amici, camminare sotto al sole, così quando l’anno scorso ci siamo ritrovati in quel contesto ho saputo sfruttare l’occasione per concentrarmi maggiormente sulla mia musica.

E, perciò, qual è il tuo rapporto con la natura e quanto ha inciso nella tua musica?

Amo stare a contatto con la natura, ma non sono tipo da escursioni, mentre la mia famiglia ne è appassionata. Traggo comunque continua ispirazione da quel che vedo attorno a me. Ti faccio un esempio: ogni volta che vado in macchina allo studio, per strada vedo sempre delle gazze ed è una cosa che mi fa stare bene. “Gazza”, infatti, è nata proprio così. Nello stesso modo anche le altre canzoni hanno come protagonisti animali in quanto sono immagini per me sempre care e che rappresentano qualcosa, in un modo o in un altro. Certo, nel quotidiano non vedo tigri ad Ascoli, per fortuna. Vale anche per gli animali dei cartoni animati, quelli che da bambini conosciamo grazie alla Disney ad esempio, come ne Il libro della giunla: immagini che mi sono sempre rimaste dentro e che in qualche modo sono riuscito a recuperarle per poi agganciarle alle mie storie.

In questa visione di recupero delle immagini dell’infanzia che sembra predisporre anche ad un tentativo di ritorno ad essa, nella semplicità delle sue forme di comunicazione e di figure, pensi di essere stato influenzato più o meno indirettamente da qualche esperienza che hai potuto riscontrare nella musica, o, perché no, nella letteratura?

Al liceo amavo la letteratura, era una delle materie in cui prendevo i voti più alti [ride, ndr]. Mi verrebbe comunque da pensare a Pascoli in maniera più immediata, ad esempio nell’uso dell’onomatopea o nella descrizione delle cose nella maniera più naturale possibile. Ti direi poi il Marquez di Cent’anni di solitudine, che ho letto qualche anno fa in un periodo abbastanza strano in cui mi trovavo su un’isola delle Tremiti. Immaginare quel posto magico, introvabile, situato nel mezzo di una giungla oscura [la città fantastica di Macondo, immersa nella foresta colombiana, ndr] mi ha davvero colpito ed emozionato.

Anche il D’Annunzio de La pioggia nel pineto mi è rimasto sempre impresso, ad esempio nei versi: «E piove su le tue ciglia, / Ermione. / Piove su le tue ciglia nere / sìche par tu pianga ma di piacere;». Se poi penso ad alcuni miei testi, come quello di “Zebra”, sarebbe possibile in effetti trovare dei collegamenti. In effetti me ne rendo ancora più conto parlandone adesso, ed è questo anche il bello in fondo.

Paul Giorgi
Anche in “Gabbiani”, nella parte in cui canti «Sei bella come l’acqua dentro le bottiglie di vetro/ Ti porto a fare colazione tra i gabbiani e un fiore che scende/ E atterra sulla linea del mare/ Hai gli occhi rossi, così leggeri/ Puoi togliere le stelle dal cielo/ Come fossero i bottoni del tuo vestito e…/ Ta ta ta, ta ta ta ta ta, ta ta ta/ Ta ta ta, ta ta ta ta ta, ta tao/Io, Ti sorseggerei/ E con la bocca, la bocca/ Ti ritroverei/ Anche tra le notti e i ciuffi d’erba (ti penserei)/ E come acqua di montagna ti sorseggerei» è interessante questo aspetto simbolico, in cui è più o meno velata anche una componente erotica e potremmo davvero trovare ulteriori influenze di scrittori, così come di cantautori. E a tal riguardo, personalmente ho notato due totem principali nella tua musica, che sono Mac Demarco e, anche dal punto di vista vocale…

Sì, Giorgio Poi. Sono stati in molti a volermelo far notare. In un post di una mia canzone condiviso da una pagina di musica indie lo hanno proprio taggato scrivendo cose del tipo «Ti prego, denuncialo» e cose del genere. Fantastico [ride, ndr].

Per il resto certo, Mac Demarco è un artista che mi piace e a cui davvero in tanti facciamo riferimento. Mi piace molto l’uso del detune, l’idea di quel suono decentrato, mai a fuoco. E questa mancata focalizzazione è stata poi ripresa anche da altri autori, come lo stesso Giorgio Poi, in quanto alla fine un po’ tutti abbiamo studiato quella scuola. Ad esempio anche il basso sempre presente è possibile trovarlo in tanti gruppi, specie fuori dall’Italia. In realtà, comunque, una delle mie prime cotte sono stati i Beatles.

Approcciandomi ai lavori di Paul McCartney e di George Harrison ho presto apprezzato e studiato quel tipo di linea di basso: nei miei stessi pezzi ho dovuto lavorare molto per farli suonare in questo modo. Insomma, credo che un po’ tutti siamo stati influenzati dalla musica dei decenni passati, specialmente quella degli anni Sessanta e Settanta. Per il resto ascolto davvero tanta musica e ultimamente sto scoprendo diversi artisti e gruppi nuovi con un sound che può comunque rientrare nella mia ricerca e nelle mie influenze.

Ti chiedo a questo punto qual è stato il tuo Spotify Wrapped del 2021.

Recentemente ho ascoltato i Foster the People, di cui ho davvero “consumato” il primo album, Torches: una mina, bellissimo. Poi ci sono gli MGMT, o gli Empire of the Sun, li adoro. Da poco ho riscoperto l’album Studio Uno di Mina del ’66 in cui c’è anche una bellissima cover di una canzone dei Beatles intitolata in italiano So che mi vuoi. Anche alcuni miei amici, come i ragazzi con cui suono, spesso mi consigliano ottimi pezzi: qualche anno fa ad esempio abbiamo trascorso un’intera estate ad ascoltare Aurora de I Cani, che è un cult, un disco incredibile. Ma anche Regardez Moi di Frah Quintale, che pagai ai tempi soli sette euro e che è un album destinato a rimanere nella memoria di questo periodo.

Su Spotify, poi, è davvero immediato conoscere musica nuova. Seguendo infatti il mio Discover Weekly ho potuto conoscere band come i Slow Pulp o i Midnight Sister che hanno realizzato brani stupendi. Mi dispiace infatti che questi gruppi non abbiano gli ascolti che meritano, come altri artisti.

Progetti imminenti o futuri?

Suono il 3 sera a Milano e nel frattempo stiamo preparando alcune sorprese. Abbiamo un live in studio che faremo uscire a breve e in generale stiamo lavorando sui live. Mi piacerebbe proporre inoltre un progetto di visual design, qualcosa che si possa collegare alla mia musica. Sarebbe figo.

Per il resto, stiamo preparando le copie fisiche del disco ed il merch. Credo fortemente al contatto fisico con il disco, con la musica, l’artista e chi ci lavora dietro: avere una copia dell’album, sfogliare il libretto con i testi, cercare chi ha scritto e prodotto cosa al suo interno resta un’emozione insostituibile. Soluzioni come quelle di Spotify sono certamente utili, ma le vedo anche come un grande frigo in cui spesso c’è così tanto cibo che quando ci si trova davanti per scegliere cosa mangiare non si è mai convinti di nulla. Riconosco comunque che dietro ci possa essere anche una scelta ecologica, per fare del bene al pianeta, ma credo si possa comunque trovare una via di mezzo come già molti artisti stanno facendo.

In un panorama musicale più ibrido come quello degli ultimi anni, in cui una catalogazione per generi risulta anche limitante, come ti vorresti inserire? E con quali artisti ti piacerebbe collaborare?

Non ho voluto programmare le mie mosse, né ho pensato di preciso a come procedere secondo uno schema preciso. Ho avuto la fortuna che le cose sono successe anche piuttosto casualmente, come capitare per due volte sulla copertina della playlist Scuola Indie di Spotify. Mi piacerebbe comunque collaborare con un artista come Francesco De Leo. Per il resto, sicuramente mi piacerebbe fare qualcosa di più “pazzo”, di sperimentare: di certo collaborare con tante persone. Da poco ho scritto ad esempio un brano con Edodacapo, un ragazzo di Forlì e devo dire che mi son trovato davvero bene. Ho capito che fare musica da sé è bello, ma farla in due è davvero più divertente.

Ringraziamo Paul Giorgi per la chiacchierata e non possiamo che augurargli un duemilaventidue ricco di soddisfazioni.

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