Francesco Gabbani a Sanremo 2025, “Viva la vita” dei cantautori pop
Può piacere o non piacere ma Francesco Gabbani, sul palco dell’Ariston per il suo terzo Sanremo da big, ha saputo coinvolgere ancora una volta il pubblico, con «tutta la forza accesa dentro l’anima». E no, non è un verso rintracciato nella canzone che ha portato in gara quest’anno, Viva la vita. Sono invece parole tratte da Isteria, brano scritto ed interpretato nel 2010 dallo stesso Gabbani, quando ancora non era solista ma militava nei Trikobalto, suo storico gruppo. Vi invitiamo ad ascoltarla, perché già nelle canzoni di quel primo periodo intuiamo una cifra peculiare di Francesco, forse non sempre compresa: la tendenza al cantautorato da una parte e il desiderio di aprirsi totalmente al pop, come veicolo di espressione autentico ed immediato, dall’altra.
Ma che cos’è poi davvero il cantautorato? E che cosa il pop? Ne abbiamo parlato proprio con lui, (ri)scoprendo un Francesco Gabbani quasi inaspettato.

Si parla tanto di cantautorato in questo 75esimo Festival. E lo si fa citando Cristicchi, Brunori Sas e Lucio Corsi. Eppure anche tu sei un cantautore. Ma forse non ce ne accorgiamo e restiamo fermi al tuo linguaggio così squisitamente pop, che abbracci e con cui ci abbracci.
Sai, ho sempre avuto difficoltà, in un modo o nell’altro, a catalogare e a mettere dei paletti – concettuali o quantomeno di definizione – nella musica contemporanea. E questo lo dico anzitutto da ascoltatore, nel vedere ad esempio come ciò che era considerato inizialmente indie si sia sdoganato con il tempo, sfociando nel mainstream. Quindi io personalmente faccio davvero molta fatica a definire e a definirmi, all’interno di queste forme espressive ormai variegate ed eterogenee che abbiamo. E che cambiano velocemente, cosa che rende ancora più difficile collocarvisi dentro.
Parli giustamente di forme espressive. E forse la cifra di tutto è proprio questa: l’esigenza di esprimersi con il testo e la musica è ciò che primariamente fa di un cantautore un cantautore.
Penso di sì. Personalmente, quello che ho sempre fatto, nel bene e nel male, è stato provare a creare canzoni che fossero l’espressione di quello che sono e dei miei punti di vista sul mondo. Ma ecco, sempre senza crearmi preconcetti di approccio in quello che stavo facendo. Inoltre, nel mio essere così eterogeneo, anche come persona, mi viene naturale passare senza soluzione di continuità da un approccio alla vita divertente, ironico e guascone ad una prospettiva più analitica ed intimista. E questo ovviamente si riflette anche nella musica.
Il risultato è una commistione che ho imparato a leggere negli anni, ma che mi è difficile definire. Quando uno mi chiede “come ti definisci?” mi trovo sempre spiazzato. Sono un ossimoro forse, sintetizzabile in quella “profonda leggerezza” che mi trovo a veicolare, in un modo – ripeto – del tutto spontaneo, dando un respiro decisamente pop anche alla profondità.

Credi che sia sempre stato così? Si tratta di una caratteristica che hai portato con te lungo tutto il corso della tua carriera?
Sì, anche se il vero filo rosso forse è un altro. Sempre con il senno di poi, osservando quello che ho fatto fino ad oggi, credo che la mia linea espressiva si sia mossa nel solco di una ricerca spasmodica: quella di voler trovare un senso all’esistenza. Qualche anno fa lo facevo con brani come Occidentali’s Karma, che sono più proiettati verso il guardarsi attorno e magari farlo anche con un piglio un po’ polemico e provocatorio rispetto a quello che è il modus vivendi della società. Una società in cui comunque, per inciso, vivo pure io: dunque si trattava anche di guardarsi allo specchio e riflettere le proprie contraddizioni nella musica. Sempre però con l’intento di ricercare: di guardarmi intorno per ricercarmi.
Da Occidentali’s Karma dunque – che utilizzava la leva della provocazione in termini di osservazione della società, anche nelle sue parti goffe, nei suoi controsensi e nei suoi paradossi – arrivo oggi con Viva la vita, che sicuramente è un brano molto più semplice. Perché non ti rovescia addosso una critica sociale, anche se questo aspetto in realtà è ugualmente presente.
Ah sì? E dove?
Prendo un verso su tutti: “a volte una bugia dice la verità più della verità”. Dentro questa frase c’è il fatto che spesso ci ritroviamo a raccontarci bugie per compensare il fatto che la natura non ci fornisce un senso diretto alle cose. Allora ce lo dobbiamo un po’ inventare, questo senso, e così anche qua – detta in termini diversi, forse più semplici e meno provocatori – è ben presente una ricerca del senso. Credo che una mia costante sia sempre stata questa: cercare il senso per andare a controbilanciare un vuoto che esiste e che permane. Sono sempre stato un bambino sorridente, ma anche abitato da una cerca inquietudine del vivere, perché ho sempre avvertito una voglia cogente di capire, di inoltrarmi negli aspetti più profondi della vita.
Quella voglia che definiamo cantautorato e che viene contrapposta al pop in cui invece tendiamo a riconoscere la tua musica. Forse per questo non sei etichettabile. Ma dovremo ricordarci che talvolta anche il pop più sorridente manifesta un’inquietudine, nella musica come nella vita.
Beh, assolutamente. Per quanto mi riguarda il sorriso non è uno stato che ho ritrovato, ma la conseguenza di una scelta. Io scelgo questa strada perché so di poterlo fare: perché la preferisco, per me stesso e anche un po’ per auto-condizionarmi verso la positività. Ma soprattutto perché, inseguendo l’idea di avvantaggiare un’interfaccia sorridente, mi sento in linea con ciò che più mi interessa nella vita.
Ovvero?
Ovvero la pace, che passa precisamente da questa scelta: la positività e il sorriso.

Uno slogan che può apparire semplicistico, come nella tua canzone.
Ma che in realtà è una scelta consapevole, un’affermazione di consapevolezza: “viva la vita così con me”. E in questo “così com’è” c’è tutto lo spirito di accettazione che, almeno per quanto mi riguarda, sono arrivato a comprendere. Accettare chi sei, le caratteristiche che hai, dove sei nato, quello che la vita ti ha offerto, i risultati che hai ottenuto o che non hai raggiunto: “viva la vita”, precisamente per questo. Non nonostante le fatiche, ma anche e soprattutto per quelle fatiche. E devo dirti che è stato per me illuminante, al fine di sintonizzarmi su questo modus vivendi, rileggere Tiziano Terzani.
Lo conoscevo come cronista di guerra, ma ha anche scritto un libro in particolare, intitolato Un altro giro di giostra, dove racconta tutta la fase di accettazione della sua malattia e del vivere l’ultimo scampolo della propria vita. Mi ha colpito come una persona di grande esperienza pragmatica, che aveva toccato con mano culture diverse, trovi infine un senso destrutturando tutto. Lui dice che tutto quello che ha fatto fino a quel momento non conta nulla, perché semplicemente vive ed è grato alla vita finché respira, sentendosi parte di un tutto.
Credo che questa cosa sia illuminante: passiamo la vita rincorrendo la soddisfazione data dall’autodeterminazione e dal posizionamento sociale, ma poi cosa resta? E soprattutto, come ci rapportiamo a quel che resta? Resta che siamo vivi finché respiriamo, punto. E via le sovrastrutture. Con Viva la vita la mia ricerca di senso è giunta all’accettare il fatto che non so certe cose e che questo mistero è bello.
Ci sono delle occasioni, nella tua vita quotidiana, in cui ti trovi ad esclamare davvero “viva la vita”, come nella tua canzone?
Assolutamente. Quando vedo l’alba la mattina, per esempio. Sono un cantante atipico, non sono una persona notturna: mi sveglio presto e vivo in mezzo alla natura. Questo mi dà spesso il privilegio di assistere al sorgere del sole, ai suoi colori e ai suoi suoni. Di fronte ad uno spettacolo simile è impossibile non esclamare “viva la vita”. Un altro momento è quando vedo il sorriso sincero di qualcuno a cui voglio bene, ad esempio della mia compagnia Giulia. Infine, cito la musica: quando ho un po’ di tensione e sento che qualcosa non va, mi metto al pianoforte e suono qualche nota. Faccio una progressione di accordi, entro in sintonia con alcune vibrazioni, provo emozioni sinergiche e mi trovo ad esclamare, sul serio e per davvero, “viva la vita”.
Esattamente come farebbe – come fa – un cantautore.
POST SCRIPTUM: In playlist, Francesco Gabbani consiglia di ascoltare la sua nuova canzone, Viva la vita, preceduta da Là di Lucio Dalla e seguita da Sempre e per sempre di Francesco De Gregori. In questo Festival, invece, fa il tifo per Brunori Sas, in gara con L’albero delle noci.
Monica Malfatti
Beatlemaniac di nascita e deandreiana d'adozione, osservo le cose e amo le parole: scritte, dette, cantate. Laureata in Filosofia e linguaggi della modernità a Trento, scrivo a tempo pieno (ma anche a tempo perso).