Con il suo secondo album “Moderno Italian Touch” (INRI Records/ADA Music Italy), Napoleone delinea un’altra identità della musica campana; quella che supera i confini di genere e abbraccia un sound libero e universale, non altro che italiano, come spoilera il titolo.
Che si voglia ammettere o no, è un dato di fatto: viviamo immersi nei cliché. Chi più, chi meno; li assorbiamo fin da bambini e li immagazziniamo senza rendercene conto. Fanno parte delle nostre credenze più profonde e quando vogliamo approcciarci a situazioni, spesso ci offrono scorciatoie di pensiero, limitandoci, ahimè, parecchio.
Fortunatamente, però, arriva un momento in cui la comfort zone stanca e facciamo quel balzo oltre il riconosciuto, iniziando a guardare le cose da un’altra prospettiva.
Il rischio, in questi casi, è quello di cadere nella rottamazione, arrivando a cancellare totalmente ciò in cui si è creduto fino ad ora. Quando, invece, la tradizione viene riconosciuta come cuore pulsante che guida le innovazioni, forse abbiamo fatto bingo.
Anche in musica, la dimensione cantautorale italiana risulta a volte essere concepita come regionalmente incasellata, soprattutto in scene come quella romana e napoletana che vantano di eredità molto forti e di contesti ben definiti. Eppure ci sono artisti come Napoleone, che stanno facendo un passo fuori dal contesto (campano) a cui siamo abituati.
Cantautore di Capaccio Paestum, Napoleone non rinnega le sue radici, ma le rielabora.
Sfuma i clichè, gioca con le parole dialettali della tradizione fornendo uno sguardo nuovo che è sicuramente più autentico, umano e indubbiamente non quello che ci aspettavamo. Nei suoi pezzi rimane lontano da quella mitologia napoletana di quartiere ma, mantiene allo stesso tempo tanti elementi locali che gli stanno a cuore, come il Mare e l’archeologia.
Noi ci abbiamo fatto un’intensa chiacchierata per entrare ancor di più a contatto con questa sua identità sonora che abbatte confini stilistici e culturali.

Ciao Davide, ti va di presentarci un po’ come è nato questo tuo secondo album Moderno Italian Touch, il concept che c’è dietro e la differenza che senti diverso al tuo primo lavoro?
Moderno Italian Touch nasce principalmente da idee musicali, da arrangiamenti e da produzioni. Rispetto al primo album, qui mi sono focalizzato su quella parte lì più dei testi, senza nulla togliere a questi ultimi che hanno avuto tanta attenzione ma, non sono questa volta il punto centrale della narrazione.
In questo disco c’è una ricerca intensa sul suono: rispetto al primo album in cui sound già richiamava influenze funk soul degli anni ’70-80 italiani, in Moderno Italian Touch sono andato ancora più nel dettaglio nel limare quelle produzioni.
Parli di cliché e stereotipi nella musica. Come siamo messi nel nostro paese su questo argomento?
Vengo dal Cilento e nella mia musica faccio un mix tra dialetto napoletano e cilentano in base alle canzoni. Questa commistione linguistica è al servizio delle canzoni, nel senso che uso ciò che mi suona meglio nella canzone. Se poi vado a usare una forma dialettale campana, si tratta di una sfumatura e uno strumento in più a livello sonoro.
In Italia tendiamo a apprezzare di più quello che nel nostro inconscio conosciamo. Non c’è la curiosità di provare a capire un linguaggio diverso da quello che abbiamo già assimilato in maniera inconscia. Tendiamo sempre a riconoscere piuttosto che a conoscere. È qui che si erige la mia battaglia personale: non volermi fare incasellare nello stereotipo della musica dialettale, nelle sfumature regionali. La scelta del titolo è andare un po’ contro chi incasella in qualcosa di regionale, la canzone che ha parole napoletane. Quello che uso, non è altro che il mio linguaggio, con il dialetto che mi aiuta a esprimere concetti in modo più diretta o per descrivere dei dialoghi tra i personaggi della canzone.

Il mare è molto presente nelle canzoni del tuo disco: nelle parole e nel ritmo, che sembrano nate per essere ascoltate nei dehors di spiaggia. Ti dividi tra Torino e la Campania…per comporre senti la necessità di allontanarti da Torino e tornare vicino al mare?
Paradossalmente tutte le canzoni nascono lontane dal mare. È stata la distanza, credo, ad ispirare testi e melodie e atmosfere. I brani sono nati nel periodo Covid e le canzoni, le stavo scrivendo anche per riportarmi a casa. Forse anche per quello hanno questo carattere evocativo molto forte, tant’è che ti ritrovi subito al mare.
Sei originario di Paestum. C’è più archeologia o mare nelle tue canzoni?
Un po’ tutte e due. Avevo iniziato gli studi di archeologia perché sono nato in una città greco romana in mezzo a tanta storia. Sono degli elementi che per me sono casa. Una colonia greca sul mare in Cilento, che ha una geografia particolare perché ti ritrovi dalla montagna al mare.
Nella cover del primo singolo di questo progetto, “Lacrime a mare“, ho fatto disegnare da Lorenzo Megni due elementi che per me erano casa: la mole antonelliana e il tuffatore di Paestum, che si lancia dalla mole nel mare. Erano un po’ tutti gli elementi che raffiguravano in quel momento casa.
C’è anche un po’ di Francia, in “Jolie“, come mai?
Io amo molto la musica francese soprattutto il cantautorato francese ma non conosco la lingua. Le uniche parole che so cantare e dire sono quelle che ho messo in Jolie. Questo brano nasce proprio perché avevo questa voglia di cantare in francese poi, mi piaceva il parallelismo tra Parigi e Napoli; due città molto romantiche in maniera diversa e che, fosse una parigina di innamorarsi a Napoli e non viceversa.
Cantautorato francese tipo?
Stromae è uno dei nuovi che mi piace molto, sia musica elettronica che cantautorato perché i suoi testi sono profondi. Poi, io sono cresciuto col mito di quel fantastico disco di Jane Birkin e Serge Gainsbourg. Quel disco là è uno dei miei capisaldi.
Tendenzialmente ascolto l’opposto di quello che produco. Sono cresciuto con la musica inglese, scena britpop, cantautori americani come Elliott Smith ma anche The Smashing Pumpkins. È tutto un altro mondo, ma qualche sfumatura la puoi pure trovare anche nelle mie canzoni.
“2024 Voglia ‘E turnà” l’ha ripreso anche Liberato un mese dopo. C’è qualche coincidenza? Com’è nato il tuo feat. con Teresa de Sio?
È stato tutto molto casuale. Credo che abbiamo avuto la stessa bellissima idea, perché era un brano che non veniva toccato da 42 anni. L’idea era di riprendere un classico della musica napoletana che non fosse scontato e che avesse fatto la storia, ma non di una scuola fatta di uomini. Un pezzo che meritava di essere riscoperto. Per fortuna è venuta la stessa idea anche a Liberato, quindi credo che abbiamo raggiunto lo scopo.
“Moderno Italian Touch” è un album in lingua campana che ha una produzione vintage tipica della disco degli anni ’70-80. A chi ti sei ispirato?
Quel sound lo abbiamo più studiato dal soul e dal rock americano, tipo nei Toto. Poi tutto torna. Il disco di Alan Sorrenti, “Figli delle Stelle” è arrangiato dai fratelli Porcaro che erano dei Toto. Giri immensi ma poi, anche se vuoi allontanarti da delle influenze è sempre la musica che ti porta dove ti deve portare. Quanto agli italiani ho ascoltato tanti dischi di Fred Bongusto.
Nell’album si mescolano generi di vari produttori. Ti piacerebbe in futuro sperimentare altri generi o pensi di aver trovato la tua identità artistica?
Credo di aver trovato la chiave artistica per questa sfumatura della mia scrittura, poi mi piacerebbe andare a esplorare altre sfumature della mia scrittura o del mio modo di produrre, che sia banalmente contaminare le idee che ho.

Tu a cosa miri quando scrivi? Canzone d’autore o canzone pop?
Miro a seguire l’ispirazione di quello che ho da dire in quel momento. Credo che oggi sia davvero importante per un artista cercare di essere libero, altrimenti si rischia di fare copia e incolla col rischio poi di non riconoscersi, né come ascoltatore, né come artista stesso.
Se ricerchi trend e ciò che può essere figo da ricondividere, si perde il gioco della musica, che ha quel carattere di condivisione illogica e irrazionale. La musica italiana non è più solo musica italiana neomelodica, ma sta sperimentando anche altro. Molti artisti per assenza di spazi di vario genere, stanno iniziando a crearseli.
Tu hai scritto anche per altri artisti. Che differenza c’è quando scrivi per te e per gli altri?
Si decide insieme. Si conosce prima l’interprete con cui si scrive il brano e si capisce un po’ insieme quello che lui vuole comunicare e cantare. Io metto a disposizione tutti gli strumenti che ho, poi che sia lui a comunicare quello che deve comunicare. Quando scrivo per me, ovvio che sono molto più libero e penso più a me, a quello che voglio dire in quel momento senza narrare storie altrui. Il goal è quando si trova il punto in comune, ovvero, quando c’è quella storia universale che lega l’artista e me e di conseguenza gli ascoltatori.
Tour: cosa dobbiamo aspettarci?
Un bel mix. Alcune date saranno in full band, alcune in duo e altre da solo. Proporremo lo stesso repertorio ma in chiavi diverse, sia quella più da situazione di piazza con più ritmo e da ballare, sia quella più intima.
- 28/06 – CENTRO VELICO – Porto del Fico – PIOPPI (SA)
- 29/06 – CORIGLIANO ROSSANO – Palmeto di Schiavonea (CS)
- 01/07 – PIZZA VILLAGE – NAPOLI
- 11/07 – MY FARINI SUMMER FEST – TORINO
- 12/07 – SUONI DI MARCA (supp. Enzo Avitabile) -TREVISO
- 13/07 – SAGRA DELL’IPERBOLE – TELESE TERME (BN)
Claudia Verini
Sinologa e Musicista. Made in Umbria, ma vivo altrove. Lavoro nella moda, ma solo con la radio in sottofondo. Devo avere ogni giorno qualcosa da raccontare, tant'è che mi piace viaggiare fisicamente e mentalmente. La Sinestesia è la mia figura retorica preferita.